quando il femminicidio uccide anche la vita che porti dentro . OLTRE IL FEMMINICIDIO: MIA FIGLIA E IL MIO NIPOTINO UCCISI INSIEME Di Alina Rizzi

in sottofondo\  colonna  sonora Del   mondo  - Csi

N.b
I  fatti riportati  sono veri . Ma  per  rispetto  dei parenti   delle  vittime (   anche se  legalmente   il bambino non nato , ma  a  meno una \  due settimane    dalla  nascita   viene  chiamato  feto  ,  per  i mie valori etici  è già vita )  sono stati cambiati i nomi  ed  usati nomi di fantasia  cosi  come sono  state  tolte  le  date 

Non     commento perchè  questo  articolo scritto magistralmente  dice  già  tutto  . Ma  ora  basta  parlare    lasciamo  che  a parlare  sia  l'articolo  in questione



OLTRE IL FEMMINICIDIO:
MIA FIGLIA E IL MIO NIPOTINO UCCISI INSIEME
Di Alina Rizzi



Sarebbe stato il mio primo nipotino, il figlio della mia Barbara. Quando l’ho avuto tra le braccia, paffuto e dolce come un angelo,  ho subito deciso che lo avrei vestito con gli abiti e la cuffietta bianca che io e sua mamma da mesi avevamo comperato per lui.
Era bellissimo, pareva dormire, con gli occhi chiusi e la boccuccia imbronciata. Per questo ho deciso di fotografarlo e di mandare il suo ritratto a chi conosceva e amava Barbara..
Doveva essere ben chiaro che quel porco di suo padre non aveva ucciso solo mia figlia, ma anche il bambino che portava in grembo.

ADESSO STARANNO SEMPRE INSIEME
A me non importa se per la legge dello stato italiano mio nipote, non essendo mai nato, perché morto nella pancia di sua madre al nono mese di gravidanza, debba essere definito “feto”. E’ un cavillo legale indegno. Basta guardarlo questo bambino, che il medico ha prelevato dalla pancia della mia Barbara durante l’autopsia, per rendersi conto che di lì a pochi giorni sarebbe nato come previsto.  Invece lui me li hanno portati via entrambi quella notte maledetta e nel modo più cruento e immondo.
Gennaro non voleva che mia figlia tenesse quel bambino, di cui era il padre, perché era già sposato. Aveva cercato di convincere Barbara nei primi mesi, ma non ci era riuscito. Mia figlia, nonostante avesse solo 20 anni, era caparbia e determinata: voleva il suo bambino e con l’aiuto mio e di mio marito ce l’avrebbe fatta.
Barbara infatti stava bene, era serena, non  le facevo mancare nulla.
Andavamo insieme alle visite ecografiche di controllo, e poi a comprare i mobili per arredare la sua cameretta, la carrozzina, l’ovetto da mettere in auto. Avevamo preso tanti vestitini, che Barbara aveva già lavato e stirato, e messi nel cassetto ben divisi per taglie: sarebbero bastati per almeno due anni.
Ma Barbara e suo figlio sono morti prima di potersi godere quel nido d’amore che avevamo preparato insieme. Quell’uomo, che non chiamo bestia per non offendere gli animali, me l’ha massacrata.
Le ha dato un appuntamento dopo che non si faceva più sentire da mesi. Voleva parlarle, aveva detto al telefono, ma non in casa mia. E Barbara gli ha creduto. Sperava sempre di poter sistemare per il meglio ogni cosa.
Esco solo un’oretta, mamma, stai tranquilla, – mi aveva detto quella sera.
Ed era andata serenamente.
Le aveva dato appuntamento al campo sportivo e questo non mi piaceva proprio, ma non potevo oppormi. Barbara è uscita di casa con un giubbettino strizzato sul suo pancione di nove mesi e non ha più fatto ritorno.
Il padre del suo bambino la stava aspettando e l’ha portata a prendere un gelato in centro.
Avranno chiacchierato, immagino io, lei avrà sperato in un suo ripensamento, forse. Certo non poteva immaginare che presto avrebbe fermato l’auto dietro un benzinaio, per litigare in un luogo appartato. Sono scesi dall’auto. Mi hanno detto che Barbara è scappata nei campi, ma lui l’ha raggiunta subito. 
NON HA POTUTO DIFENDERSI
L’ha trascinata nel terreno dove erano state scavate delle buche per piantare le magnolie, e ce l’ha spinta dentro. L’ha picchiata. Lei era distesa supina, hanno spiegato gli investigatori. Quindi l’uomo ha preso a calci il suo pancione e quando Barbara si è girata per proteggersi le ha spinto la testa nel fango per soffocarla. Ma non gli bastava. Le è saltato sulla schiena con i suoi 90 kg di peso, per spezzarla nel corpo come nell’anima. Barbara è rimasta immobile, mentre lui le buttava sopra foglie e rami per nasconderla. Con la schiena rotta non ha più potuto alzarsi o muoversi. Ha dovuto ingoiare l’acqua melmosa e il fango, mentre sicuramente ha sentito la morte arrivare. Non ha potuto difendersi né proteggere il suo bimbo. Quale dolore più grande può esserci per una mamma?
Ho disteso il mio nipotino tra le braccia della mia Barbara, nella bara bianca che li ha accolti. Ora staranno per sempre insieme. E non voglio più sentire quelle accuse assurde: hanno detto che io ho voluto spettacolarizzare la morte del piccolo vestendolo come un neonato, ma non è vero! Lui era un bambino a tutti gli effetti e sarebbe nato sano e bellissimo se non fosse stato massacrato di colpi da suo padre. Quel porco meritava di essere condannato per duplice omicidio ma mio nipote non é stato considerato un essere umano, perché non ancora nato. E allora gli hanno dato 30 anni, che non sono niente in cambio delle nostre vite distrutte.


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