e se imitassimo ovviamente migliorandolo il sistema australiano sull'immigrazione ?

Girando  per  lavoro , cazzeggio  e parentame  ( da  parte  di madre  )   che si trova   a  sud    la  mia Sardegna  mi viene una tristezza infinita nel vedere   terre  potenzialmente  fertili   abbandonate  o   centri storici    dei piccoli paesini che  si spopolano per  l'imigraziomne  e  il trasferimento   verso i grandi centri  ,   vecchie   cantoniere e  case  coloniche     e stazioni ferroviarie  , ecc .   E  mi chiedo  ma perchè  non le danno  magari sotto  la  forma  di usi  civici  o   di  mezzadria  (  come si faceva  un tempo  ) oppure in comodato  agli immigrati (  o  a quelli italiani che   vogliono   fare  qualcosa  )    che  sono battutati inattesa  della lentissima legge  sulla  richiesta   d'identificazione e  d'asilo  politico . ?

Perchè non prendiamo    ad esempio il modello  Australiano


 espresso  online  del  06 maggio 201
 di Stefano Vergine

 Immigrazione
"Schiavi" italiani in Australia? Sì, ma legali
E invece di indignarci dovremmo imitarli
Un'inchiesta tv ha denunciato casi di schiavismo nelle campagne dell'isola oceanica. Gli sfruttati sono però solo una piccola parte del totale e il sistema di Canberra offre ai migranti molte più garanzie del nostro

«L'odissea dei giovani schiavi italiani. Undici ore a notte, a raccogliere cipolle». L'articolo pubblicato dal “Corriere della Sera” racconta il risultato di un'inchiesta giornalistica condotta dalla popolare trasmissione televisiva australiana “Four Corners”.
Un programma che ha squarciato il velo, nella terra dei canguri, sulle migliaia di giovani europei che finiscono a lavorare gratis nelle fattorie.
Tutto vero. Per gli australiani meno informati è stato sicuramente uno shock scoprire che nel loro Paese ci sono persone praticamente schiavizzate, raccoglitori di quei prodotti che finiscono poi nei supermercati di Sydney, Melbourne, Brisbane, Darwin e delle altre cittadine sparse per l'immensa isola dell'Oceania.
Ma le cose sono un po' più complicate di come appaiono. Ovvero: per tanti che hanno denunciato condizioni di sfruttamento, ce ne sono almeno altrettanti contenti dei loro tre mesi di vita agreste. Perché, a differenza di quanto succede in Italia con gli extracomunitari, di fatto costretti all'illegalità oltre che talvolta schiavizzati, in Australia i tre mesi di lavoro in campagna danno diritto a un regolare permesso di soggiorno.
L'inchiesta in questione si è concentrata sul visto vacanza-lavoro, il “working holiday visa” . Rilasciato solo a cittadini di alcune nazioni industrializzate, con età compresa tra i 18 e i 31 anni, costa poche centinaia di euro e permette di stare in Australia per un anno lavorando a tempo pieno, estendendo la permanenza di un altro anno se il migrante è disposto a svolgere per tre mesi alcune mansioni come l'agricoltore o l'allevatore. Si può decidere di farlo percependo uno stipendio (le paghe variano dai 10 ai 25 dollari australiani all'ora), oppure prestare la propria opera gratuitamente, in cambio di vitto e alloggio. Nel 2014, scrive il “Corriere” della Sera citando i dati del dipartimento per l'Immigrazione australiana, nel Paese c'erano più di 145 mila giovani con questo tipo di visto, oltre 11 mila dei quali italiani.
I casi di sfruttamento sono stati ben documentati dalla tv australiana. E pure il "Corriere" ha dato conto di alcuni esempi, come quello di due ragazze che, impiegate in un'azienda agricola, raccoglievano cipolle rosse «dalle sette di sera alle sei di mattina, anche quando pioveva o faceva freddo».
Il fatto è che quelli evidenziati da “Four Corners” sono solo i casi sfortunati. Chi scrive ha potuto sperimentare in prima persona il working holiday visa australiano. E può assicurare che molti europei, fra cui parecchi italiani, non hanno subìto alcun tipo di sfruttamento.
Certo, con questo sistema le aziende locali beneficiano della manodopera straniera a basso costo, ma c'è un altro lato della medaglia da considerare. Grazie a questa politica migratoria, gli italiani e i tanti altri cittadini stranieri che vogliono emigrare in Australia possono farlo legalmente. Fanno la richiesta di visto online, vanno a lavorare per tre mesi in campagna, pagati oppure solo compensati con il vitto e l'alloggio, e in questo modo si guadagnano la possibilità di restare nel Paese per un secondo anno (in realtà, come ricorda il “Corriere”, il governo di Canberra ha recentemente deciso di concedere l'estensione del visto solo a chi viene pagato per lavorare).
La sostanza però non cambia. Invece di costringerli ad entrare illegalmente, come avviene oggi per i tanti extracomunitari che continuano ad arrivare sulle nostre coste, adottando una politica migratoria simile a quella del "working holiday visa" si permetterebbe ai migranti di avere due anni di visto per stare nel Paese, tempo utile per imparare la lingua e trovarsi un lavoro. Al contempo, le aziende italiane beneficerebbero di manodopera a basso costo, come peraltro già avviene. Ma tutto questo avverrebbe in modo legale, mentre oggi da noi le campagne sono ancora teatro di uno sfruttamento ben più pesante rispetto a quello visto nei casi raccontati dalla tv australiana.


Ovviamente  pagandoli  il  giusto onde  evitare    sfruttamento  e quel che succede  in australia
 alla fine dei 2 anni di working holiday. Si torna a casa. Punto. Rimanere piu' a lungo e' un reato (si illegal immigration e' un reato, in Australia, come nella maggior parte dei paesi). A meno che non si sia trovato un datore di lavoro che ti sponsorizza, ma nessun datore di lavoro sponsorizza i braccianti, soprattutto se puo' prenderne a ciclo continuo e pagarli poco proprio grazie al programma working holiday! Cosa faremmo degli stranieri venuti in Italia dopo i 2 anni di working holiday italiano? Facciamo restare tutti? E in piu' ne facciamo arrivare altri? Piu' tutti i poveracci sui barconi? La verita' e' che bisogna mettere un limite numerico annuale, raggiunto il quale non entra piu' nessuno.

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