MOTTA VISCONTI, DALLA PARTE DI LUI. COME SEMPRE di © Daniela Tuscano



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Al netto delle tante e tante parole, analisi, sfoghi o imprecazioni sull'atroce vicenda di Motta Visconti (e su quella, speriamo conclusa, di Yara), resta un solo punto fermo: la colpevolizzazione della vittima.
Su "Repubblica" di oggi, quotidiano progressista, leggiamo l'approfondito reportage di Massimo Pisa: Carlo "era soverchiato dalla personalità della moglie, più grande di sette anni, e aveva già tentato di troncare, ma inutilmente". Spiegazione evidenziata nello strillo. Non solo: "La ricordano ancora in tanti la scenata che Maria Cristina [...] gli fece quando lui, a una settimana dal matrimonio, a chiesa e ristorante prenotati, e regali già pronti e smoking cucito, si presentò in via Ungaretti [...] per dire che lui non se la sentiva. 'Tu non mi rovini la vita', gli urlò prendendolo per il colletto, ed eccole le foto sorridenti che ancor oggi si affacciano sulla bacheca di Cristina...". 
Maria Cristina è più grande di lui di sette anni, insomma è "vecchia". Lo minaccia. Urla. Proprio come una strega, verrebbe da commentare. Una di quelle streghe di cui per secoli milioni di maschi in tonaca non solo hanno teorizzato l'esistenza, ma l'hanno dimostrata spedendole sul rogo. La strega urla, minaccia, prende per il bavero, e il ragazzo soggiogato da quella personalità "debordante" non riesce a dir di no. Si sa: la donna ha un potere maligno, la donna schiaccia, la donna uccide con lo sguardo.



Così il represso Carlino cede. La famiglia è allietata da due figli ma è "una scatola da cui Carlo Lissi voleva, doveva, uscire". Ed ecco il titolo dell'articolo di spalla sull'ancor misteriosa "altra donna" (l'altra è sempre misteriosa, sennò che altra sarebbe e quali sonni turberebbe mai?): "Era pazzo di me ma ho detto no, non volevo saperne di uno sposato". 
L'attenzione del lettore tracima necessariamente su quei vocaboli: "scatola, pazzo", e sui verbi servili, perciò tremendi, "voleva, doveva".
Un'altra strega - magari più giovane e fresca - annebbia il cervello del tapino: lui ne è "pazzo". E' lei che l'ha fatto impazzire? E non importa il suo rifiuto (ma ci attendiamo da qualche talk show pomeridiano prossime clamorose rivelazioni, la seminfermità mentale del disgraziato, poi - come suggerisce Massimo Del Papa - un libro e una nuova (Ma)donna, capace di coprire col manto dell'irreprensibile perdono qualsiasi delitto e rivale: certe donne sono le peggiori nemiche di sé stesse). A Carlo Lissi abbiamo già perdonato senza saperlo. A poco giovano le riflessioni all'interno, nessuno si prenderà la briga di leggerle. Ma quel servizio di cronaca, corredato da immagini, da frasi a effetto, quello lo si leggerà eccome, e, leggendo, resterà in bocca un sapore amaro, ambiguo.
E noi?
Scuoteremo il capo. Fisseremo in tralice la foto della sposa più adulta. Non concederemo che un'occhiata distratta ai bambini (il più piccolo, sgozzato come un vitello, di venti mesi). In quest'Italia clericale e perbenista, sterile e feroce, soprattutto decrepita, non c'è spazio per la relazione - e i bambini sono relazione per eccellenza. Quindi, per la famiglia. Una famiglia costituita da persone. Non da oggetti. Tanto meno da "scatole". 
Dalla famiglia non si fugge, la famiglia si crea. Si propone. Col dono, certo, ma per farlo occorre uscire dalla logica del possesso, dalla dittatura mortifera del maschilismo secondo cui donna e figli sono "roba" (scatole) o da conservare a proprio capriccio, oppure pesi (scatole) di cui si vuole, ci si DEVE, liberare se non servono più o semplicemente dànno noia.
Per festeggiare la vittoria azzurra sugli inglesi alle semifinali di calcio è stato diffuso un fotomontaggio di Elisabetta II tumefatta. Uno corrispondente con Juan Carlos non sarebbe venuto in mente a nessuno, e, del resto, si trattava d'uno "scherzo": della violenza alle donne, insomma, si può ridere, non è poi così grave.
A Savona un altro maschio ha abbattuto a pugni e calci la convivente, anch'essa più adulta. Qui parliamo di follia, si evoca il solito raptus, altrove (i crimini di Boko Haram, gli stupri con impiccagioni in India, il calvario di Meriam) tutto viene derubricato a barbarie di paesi barbari, inimmaginabili da queste parti. La realtà lo smentisce. E la logica è identica perché il sessismo ha linguaggio universale. Ma i pregiudizi rassicurano, rassicurano l'assoluzione e la simpatia per il maschio occidentale e il disprezzo altezzoso e razzista per l'asiatico e l'africano. In entrambi i casi, eguale risultato: la donna, da questi maschi oppressi e soverchiati, oppure selvaggi e ferini, viene uccisa. E, sotto sotto, pensiamo ancora se la sia meritata.

© Daniela Tuscano



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