Un dribbling da marciapiede


Le  ultime vicende del calcio :  scandalo partite  vendute   \  calciopoli 2  le morti  di Morosini e  Petrini  ( di queste 'ultime dur  né  ho parlato  qui e  in   questi I II post precedenti  )  mi fanno ritornare  alla  mente   quando il pc  era  ancora per   pochi , le  sale  giochi   stavano iniziando a diffondersi   e  la play station non esisteva  o.io  era    un qualcosa  di  rudimentale    i vecchi    videogiochi portatili , per  intenderci  ,  .amiga  e  simili )  . In quel  periodo  il mito dei giocatori e del calcio   corrispondeva   a   quello rapressentato   dai libri    1)  bar sport  e la  compagnia dei celestini di Stefano  Benni  ., 2) un ultima stagione  da esordienti  di  Cristiano Cavina   e  nele  storie non ricordo i numeri  di topolino che ve  che vedono  protagonisti   ( Totti per paperoli  e  Gattuso per  topolinia    ne trovate  uno a  sinistra  ) . E quindi   non era  (  forse perchè ero troppo piccolo :  6 anni per  il calcio scommesse 14\16  per lo scandalo  doping  della  juventus  )  intaccato nella mentalità collettiva .  A  conferma  di tale  cosa    di ci  sono  : 1)   il giocare  a calcio  nei rioni ,  nelle piazze  o  negli oratori   come testimonia  l'articolo che  trovate  sotto  , mi scuseranno i puristi   che  vogliono sentire   fatti miei , riporto integralmente  perché come spesso  accade  per  i  quotidiani online  finisce   dopo pochi giorni  nell'archivio  o  nella versione a €   cioè a pagamento . 2)  dall'uso , che adesso ritorna di moda , all'epoca  molto usato  visto che la tv  non era  ancora un fenomeno di massa   e  cosi deleterio ( salvo eccezioni  )  come oggi  del calcio  Bailla  \ Biliardino 

presente  nei bar  o negli oratori  , oltre   che  nelle  case private  (  mi ricordo che  ne  avevo uno anch'io )    e  di cui conservo  fra i miei tanti  gingli  della  mia libreria  una pallina  furata  .. ehm  .. fregata  ad un amico  barista  ( vedere mia  foto a destra  ) Strana  coincidenza proprio mentre vado a  fare copia & incolla  la radio trasmette   questa  canzone di Luciano  LiGabue  












fonte blog della nuova sardegna

Un dribbling da marciapiede

Su richiesta di un amico lettore del blog, ripubblico un pezzo che scrissi sulle pagine della Nuova Sardegna un paio d’anni fa.

La carambola sul muro? Consentita, previo accordo tra le parti. Il pallone? Il proprietario ha il privilegio della prima scelta quando si fanno le squadre e può decretare la fine della contesa quando la mamma lo reclama a casa per cena. La traversa? In caso di assenza dei pali, vale l’altezza raggiunta dal portiere a braccia alzate, misurata a occhio volta per volta, dopo lunghe e accese discussioni.
Non è un nuovo sport: sono alcune delle regole dimenticate, appartenenti al codice non scritto di un calcio che non c’è più. Rudimentali “gentlemen’s agreement” tra giovincelli pronti a darsi battaglia per l’onore del quartiere, del rione, del palazzo.
Street-soccer-photos13
Negli anni Duemila gli adolescenti giocano poco a pallone; se lo fanno vengono inquadrati presto nelle scuole calcio. Nessuno spazio per la fantasia, nessuno spiraglio per un tentativo di dribbling: un solerte allenatore esperto di tattica fermerebbe il gioco per sgridarti e spiegarti che in quella zona di campo si può solo verticalizzare e che questa cosa inutile di provare a saltare l’uomo è anacronistica e proprio non va bene. Lasciala fare a Messi, “lui sì che c’è buono”.
E così i piccoli Messi allevati in provetta crescono a pane e “due tocchi”, a crostatine e diagonali. Ma quando arriveranno a 15 anni si renderanno conto di due cose: la prima, già difficile da accettare, è che di Messi ce n’è uno solo. L’altra, ancora più traumatica, è che nessuno di loro avrà mai avuto la possibilità di provare a imitarlo davvero, quel tale Messi.Perché non avranno mai provato in
vita loro il brivido di un dribbling fottutamente egoista, di un uno-due fatto non con un compagno ma con il muro che delimita la fascia laterale. E di un gol festeggiato con il gesto dell’ombrello nei confronti del portiere, con il tuo sguardo che incrocia quello, compiaciutissimo, delle due compagnette appostate vicino a un albero. Troppo calcisticamente scorretto, troppo fuori dagli schemi.
Poveri ragazzi. Nei pochi luoghi dove ancora si gioca per strada, i sindaci firmano ordinanze che obbligano a utilizzare palloni di gomma piuma (come a San Giorgio a Cremano). Oppure, come a Liverpool, vietano del tutto il gioco del pallone in strada.
Eppure fior di giocatori hanno imparato a palleggiare nella piazza sotto casa e hanno segnato il loro primo gol in una porta fatta con due pietre. Anche in Sardegna. A Sassari il campetto per eccellenza era il “campo nero”, uno spazio di terra durissima alle spalle della curva sud dello stadio Acquedotto. Tutti gli sportivi sassaresi dai 35 ai 60 anni si sono sbucciati le ginocchia là almeno una volta. Ma si giocava in qualsiasi slargo del centro storico, da piazza Tola a “ru patiu di ru diàuru”. E poi in periferia. Come nel quartiere di Montelepre. Marco Sanna ha iniziato da là la sua scalata alla serie A. «Il nostro campo era uno spiazzo tra quattro palazzi – racconta l’ex mediano di Cagliari, Samp, Torino, Torres e Nuorese -. Prima in terra battuta, poi ricoperto di mattonelle da marciapiede. Le porte? Due pietre, ovviamente. L’alternativa era saltare il muro del manicomio e giocare a Rizzeddu. Regnava la fantasia: ci si sfidava a palleggi, a dribbling, e chi era più bravo tecnicamente non passava mai la palla. Anche quando sono entrato alla Fulgor, a 10 anni, dopo gli allenamenti correvo a giocare là».
Street-Ball
Anche Roberto Ennas ha iniziato così: «A Oristano si giocava nel campetto del Sacro Cuore – racconta l’ex bomber di Torres e Tempio -. Quando arrivavano i “grandi” eravamo costretti a emigrare nella piazzetta della chiesa. Due panchine come porta e via alle sfide, dalle 2 di pomeriggio al tramonto. Ora ai bambini fanno fare i giri di campo e la tattica: noi amavamo il pallone, io lo passavo solo dopo 7-8 dribbilng…».
A Olbia raccontano di sfide memorabili nello spiazzo oggi occupato dal centro Martini. In via Tavolara c’era “su campittu in falada”, che degradava pericolosamente verso i binari, mentre al campo “de sa Rughe”, l’attuale piazza Crispi, a pochi metri dal mare, comandavano i pescatori: siccome loro erano scalzi, anche chi voleva sfidarli doveva rinunciare alle scarpe.
E a Macomer facevano di meglio: «Giocavamo in via Taormina, a San Francesco e al Corso – dice Massimo Mariani -. Ma il campo “ufficiale” era una tanca in periferia, un prato perfetto. Quando il pastore faceva uscire le pecore, entravamo noi».
Niente sfide miste, naturalmente. E le entrate in scivolata erano vivamente sconsigliate.

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