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Visualizzazione dei post con l'etichetta © Daniela Tuscano

NATURALMENTE STRANO di © Daniela Tuscano

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 leggi   anche  Simona Monti aveva 33 anni ed era incinta.... di daniela tuscano Dacca, uno studente musulmano ha preferito morire piuttosto che abbandonare le amiche Non fanno rumore. Camminano tra noi, con la levità degli angeli. Ma non hanno nulla d'etereo. Sono volti e storie come tanti, come tutti. Pe rcorrono lo stesso destino, e quando fanno il bene, spesso, non se ne accorgono. L'assaporano, come fosse un bicchier d'acqua, poi irrompe l'imprevisto, l'efferata eccezione, e li trova attoniti ma pronti. Così la loro normalità s'impone e giganteggia. Portano nomi diversi a seconda delle nazionalità. In questi giorni erano italiani. Ma oggi ne scopriamo altri. Uno di loro si chiamava Faraaz, bangladese.      Aveva un bel viso liscio, i tratti delicati, l'occhio acuto e docile, come molti delle sue parti. La magrezza del Sud-Est asiatico non stona in abiti occidentali, non ha mai avuto nulla di coloniale; ha conservata in

IL DOVERE di © Daniela Tuscano

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Una notte parigina e nulla di romantico. Sei giunto tu, privo di storia. Hai ucciso un poliziotto (disarmato), violato l'intimità della sua casa, trovato sua moglie, anch'essa poliziotta, anch'essa disarmata. Tutori dell'ordine che non custodivano arsenali.Ovviamente l'hai sgozzata. Era una donna, e francese. Più che sufficiente e poco conta fossi francese pure tu. Tu non sentivi d'appa rtenere a nulla e a nessuno, se non a un dio sanguinario con cui t'eri illuso di dare un senso - uno sciagurato senso - alla tua vana esistenza.   L'hai ammazzata freddamente, sventatamente, urlando, forse. Poi è seguito il silenzio. Di fronte a te c'era il figlio di quella donna, di quella coppia. Un bimbo di tre anni, l'età in cui si esce dal giardino di Eden, l'età in cui tutto si conosce. Ma tu non eri il Tentatore. No, non illuderti. Non meriti neppure la patente di diavolo. Terrorista? Non scherziamo. Tu eri e rimarrai, nella fissità eter

Muhammad Alì: ieri le esequie TU, NOI di © Daniela Tuscano

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leggi anche  http://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2016/06/il-match-di-ali-con-la-bimba-di-3-anni.html . Nell'ultimo viaggio entri solo. E in silenzio. Noi eravamo lì, ad applaudirti, anche noi davanti allo schermo, a migliaia di miglia di distanza. Ti sentivamo, ma stavamo di qua dal fiume, e adesso cala il silenzio. O la pace. O l'infinitamente piccolo. Tu che hai parlato tanto, ed eri muto negli ultimi tempi, lasciavi le tue frasi negli occhi, ed era già un p asso. Adesso taci per sempre. Adesso si compie la tua profezia: "Questa vita non è reale. Ho conquistato il mondo e non ne sono soddisfatto. Dio mi ha donato questa malattia per ricordarmi che non io, ma lui è il numero uno". Nessuno sopra di te. Ma Uno più in alto di te. Quello sì, c'era. Non eri un Innominato, pur se la superbia non ti mancava, e lo sapevi, e la esibivi e la scontavi. Niente ti è stato risparmiato. Forse sembravi più un Giobbe, e mai hai incolpato Dio per i

VI ABORRO… di © Daniela Tuscano

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leggi anche  http://www.wired.it/play/cultura/2016/06/07/stupro-turner/ Lo ammetto, vi aborro. Aborro voi, la vostra brutalità, la vostra (in)cultura dello stupro, la società di diseguali – dove la diseguaglianza è considerata nullità – che avete incubato, alimentato e cresciuto a dismisura. Aborro quel corpaccione chiamato maschilismo, l’origine d’ogni violenza, razzismo e discriminazione. L’aborro perché è morto, e voi lo sapete, ma ne mantenete artifici almente l’esistenza. Vi serve per conservare il potere. E per il potere siete disposti a tutto. Cioè al ginocidio. Ginocidio, sì. Perché voi, maschi impazziti e feroci, disprezzate il mio sesso. Da sempre. E io non voglio più capirvi. Non voglio più capire un mondo che si reputa progredito berciando contro i roghi di Daesh e poi impugna una penna per chiedere a un giudice di non punire il figliolo, stupratore sì, ma per soli venti minuti, preda dei fumi dell’alcool e d’un’imprecisata “promiscuità” (palese, fra le

SARA, I PIEDI E IL CUORE © Daniela Tuscano

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Anni fa. Tanti, ma non troppi. Ero già una matura signora. Milano, Ferrovie Garibaldi. Intorno ancora ventri di case, sterrati nebbiosi, vaste nullità. Il classico teatro per fini atroci e anonime. All'incrocio con via Melchiorre Gioia emergono, dal silenzio, due individui. Uno a destra, uno a sinistra. Un cenno fra i due. Io mi trovo in mezzo, facile preda. Il campo d'abb andono è lì vicino. Mi vedo a terra, la gonna lacera, sgozzata. L'epilogo, lo sento sulla pelle. Già sono pietrificata, oso articolare un misero "No" all'indirizzo dei due. Così flebile. Così inutile. Così fermo. Quando il tizio sulla sinistra mi smanazza un seno, comprendo che non c'è nulla di peggio, né di più prezioso. È la mia vita ed è una. E tanto l'amo, e tanto vale, che son disposta a perderla pur di non vederla insozzare, calpestare. E, non so come, mi trovo sul cofano d'un'auto. Mi ci sono lanciata in un impeto di disperazione. Non però sventato, no. Sono riuscit

A UN FIGLIO SOGNATO © Daniela Tuscano

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Tu ci sei. Ora lo so. E, come tutti i figli, non m'appartieni. Hai costruito la tua vita nel silenzio. Mi sfuggisti anni fa. Grumo interrotto dopo appena due mesi. Da allora non c'è giorno in cui non pensi a te. Ma t'avevo cristallizzato in una placenta. Prigioniero d'una sconfitta. Tu c'eri. Diverso. Cresciuto. Sei comparso un mese fa, durante il mio sonno incerto. Mentre vag avo nel buio d'una città ignota, grembo refrattario che soffocava gli occhi. Poi, d'improvviso, una mano mi raccoglieva. Ed eccomi in un appartamento semplice ma dignitoso, con una certa luce di quadri, mediamente borghese. La casa di due professionisti. Gesti sobri, affetto contenuto. E un ragazzo imprendibile. Tu. Ti ho visto alto e sottile, la chioma bruna e riccia, il collo fasciato in V. Irolli, "L'angelo musicante" una kefiah. Sei progressista, ragazzo. Il tuo volto è un divano: occidentale-orientale. Hai zigomi angolosi, linee spezzate. Opposte

UNA PIETRA SOPRA

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È finita, ed è meglio, perché quell'agonia sarebbe stata intollerabile, così arida e refrattaria. Roberto e Federico, operai a Cava Gioia, nelle Apuane, sono rimasti travolti da un'inesausta frana di marmo e non si sapeva più dove fossero, come Rosso Malpelo. Non era Sicilia, ma una Toscana misterica e inattesa. Sbiadito interregno. Adesso è finita, ed è meglio. Il cuore duro de lla roccia era l'incubo d'ogni giorno. Di secoli. Nelle cave e nelle miniere il tempo non si muove mai. Uomini o donne, bestie o cose, tutto in quei luoghi ha un ritmo atarassico. Le voci le sento chiuse, inghiottite dal pallore polveroso. Dalla Lunigiana erano emigrati in Liguria i miei bisnonni. Un'Italia agra. Altri hanno continuato a esistere immersi nel bianco accecante. Roberto e Federico avevano volti moderni e un mestiere antico. È finita ed è meglio. Ma non doveva finire così. Non in un paese che si pretende civile. © Daniela Tuscano

PIER PAOLO, È COMPIUTO

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Caro PPP, ricordi? Sono trascorsi già due anni, il caldo incombeva, nell’aria milanese resisteva un ricordo di primavera, leggiadro e sbarazzino. Mi recavo al Museo del Risorgimento in occasione de “La Nebbiosa”, rassegna iconografica e letteraria a te dedicata. Avresti voluto girare un film sulla mia città ma abbandonasti l’idea. Ce ne sfuggiranno sempre i motivi, io avanza i alcune ipotesi [cfr. qui http://urlin.it/140eb9 ] ma penso che il non-finito è il regalo più grande tu abbia potuto farci. Perché ci hai fatto uscire dal perenne status di scolari. Ci hai obbligato a immaginare, a proseguire, pur con stentate parole, l’opera interrotta. “La Nebbiosa” divenne una mostra, quindi un album fotografico disseminato d’umori, volti, costruzioni e percorsi dal 1950 al ’65. Volti e percorsi altrimenti perduti che grazie alla tua intuizione presero corpo e vita. Ma non fu tutto, nemmeno allora. Mancava, ecco, la tragedia. L’usurpazione. Eri nato per questo, ammettiamolo.

Paolo Poli Il più pagano dei cristiani se n'è andato proprio un venerdì santo.

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IL più pagano dei cristiani se n'è andato proprio un venerdì santo. Atterrava nella mia Milano ogni anno, ed era sempre goduria. Amore ricambiatissimo: teatro Carcano sempre pieno. Amichevolmente, sensualmente, riverentemente pieno. Paolo Poli era il nostro attore più italiano ed europeo, la nostra coscienza sottotraccia, libero e leggiadro, il Machiavelli del palcoscenico. Ma senza cattiveria, semmai con amabilissima perfidia. Perché Paolo, a differenza del suo concittadino Niccolò, buono lo era. Poli s'è incuneato lungo il periglioso Novecento col suo metro e novanta d'irriverenza, femminilità, preziosismi letterari e battuage. È stato l'omosessuale (o l'invertito, ecco) quando non si poteva esserlo ma lui ci riusciva ogni volta, e smaccatamente. È stato il travestito senza mai diventar maschera, c'era lui non dietro, ma in mezzo, oltre quelle piume. Mica gli serviva, l'ambiguità. È stato tradizione quando trionfavano le avanguardie che sapevano di vecc

BRUXELLES 22/3/2016

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BRUXELLES 22/3/2016   Ho sperato   Perché marzo è pazzo In un giorno nuovo In un oceano di pace. Ma ho pianto Perché marzo è folle E nell'ibrido delirio Ha travolto il cielo Ho sperato, ma non oggi Nemmeno oggi È una buona giornata © Daniela Tuscano

Tre cromosomi di © Daniela Tuscano

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Con quel cognome, uno letterato ci nasce. Se poi il turbine creativo ti porta ad approdare laggiù, in un evo mitico e affabulato, dove trovi un certo PPP, allora è fatta. Di cromosomi in più non ne hai uno, bensì due: la scrittura e Pasolini. Gianluca Spaziani, 23 anni, palermitano, ha conseguito la laurea in lettere con una tesi dal titolo "La riscrittura del tragico antico in Pasolini. Per una lettura 'corsara' di Medea". E allora, forse, i cromosomi in più diventano tre. Perché scegliendo Pier Paolo, e "quel" Pier Paolo, con "quell'"aggettivo, e, non bastasse, nel giorno del suo compleanno, sei decisamente contro il sistema. Contro le regole. Contro le previsioni. La vita te la inventi. La mordi. La scrivi. E la penna si fa pugnale d'amore.  Ma la godi, anche. Gianluca sogna il teatro, adora Beppe Fiorello e ha la stessa grazia nativa d'una primula, la stessa logica inattesa d'un mattino sereno, naturalmente spavaldo.

APPUNTI PER UN'ORESTIADE FALLITA - Affabulazione "pasoliniana" su un femminicidio di © Daniela Tuscano

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per approfondire https://it.wikipedia.org/wiki/Orestea http://www.treccani.it/enciclopedia/clitennestra/ Gela, 1987. Liborio, un bambino di sei anni, torna da scuola e non trova più mamma Rosaria. Mamma è giovane, 22 anni appena, il viso inghirlandato da riccioli, un sorriso immediato, come quello degli adolescenti. Ma, come gli adolescenti, ingannevole. Che nei tratti ancor puerili può velare drammi estremi.  Mamma dunque è così, una bimba anch'essa. Ha avuto Liborio a sedici anni. Lui la cerca, gli manca la sua risata, ma lei, quel giorno, non gli va incontro. Non si vede, è scomparsa. L'appartamento, sempre in penombra per il caldo accecante, ha un tuffo di silenzio. Il padre Vincenzo, in un angolo, lo aspetta. Lo sguardo attraversato da una trave cupa. Poche, terribili parole: è l'ultimo giorno. Andranno via da Gela. Pesaro, quattro anni dopo. Liborio non sorride più. Nella sua nuova casa la luce s'effonde inutile e leggera. Sono

Zerez, l'unica dimensione

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Parafrasando il bel post di Loris Righetto "Può una poesia cambiarti la vita?", rispondiamo che cambiarla è forse eccessivo, ma illuminarla, renderla più chiara e percepibile a noi stessi, forse sì. E se tanto può uno scritto, quanto può una vicenda umana, una storia in carne e ossa, insomma una persona? È questa la sensazione che si prova dopo aver ascoltato Claude Zerez, profugo siriano, esperto di Storia dell'arte e arte sacra, ospite domenica 24 gennaio del centro culturale "Alessandro Manzoni" di Bresso. Claude Zerez,  al centro  . foto   presa   da  https://www.facebook.com/media/set/?set=a.938586892856606.1073741957.128059093909394&type=3    di Daniela ( l'autrice  dell'articolo ) dove  ne trovate altre   Zerez vive attualmente in Francia. Nel conflitto che insanguina il suo paese ha perso la figlia ventenne, il padre, un fratello e un cugino. Lo studioso ha lodato "il calore e il cuore dei fratelli italiani", senza dime

Chi era Franco? di © Daniela Tuscano

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Franco era Franco. Non aggiungerei nient’altro perché, come suggerì Pier Paolo tanti anni fa, s’identificava totalmente nei suoi “personaggi”. Non aveva alcun alter ego. La sua forza. Anche il suo limite. E la sua credibilità. Spontaneo e canagliesco nel Ciappelletto del “Decameron”, plebeo al punto giusto, cornice ideale per la rilettura pasoliniana del capolavoro di Boccaccio. Cotto dal sole. Ma anche sgangheratamente tenero nel gioiellino felliniano girato dal fratello Sergio, quel “Sogni e bisogni” andato in onda nel 1985 su Raiuno. I fratelli Citti irrompevano nel piccolo schermo del tutto sfasati. Eppure, in quegli anni già volgari e scintillanti, riuscirono a ritagliarsi un angolo fatato e straccione d’una Franco Citti ( al centro  )  con Roberto Benigni e Ninetto Davoli  da Eretico & Corsaro “miniserie”, come diremmo oggi. Accanto a loro Giulietta Masina, Jacques Dufilho, Paolo Villaggio, Gigi Proietti, Serena Grandi, Ugo Tognazzi e naturalmente Ninetto. Grande c

Che ora è di © Daniela Tuscano

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“Mi scusi, signorina, che ora è?”. Resto colpita più dalla voce lieve che dall’appellativo, dopo tutto non sono pochi quelli che ancora mi chiamano signorina, ingannati dai miei fagotti, dal mio aspetto mai cresciuto. Me lo domanda una vecchietta. Sono le undici, in realtà il tempo non esiste in questa mattinata brumosa ed eguale. Rispondo, poi proseguo per la mia strada, ho le commissioni da sbrigare. Ma oggi qualcosa manca. Forse è vero, non sono mai diventata adulta, nessuno alla mia età si sentirebbe povero perché da questo lunedì siamo senza David Bowie. David Bowie visto da Giovanni Barca. Si può pensare a lui assillati da mille preoccupazioni molto concrete, fra l’acquisto del pane e le tasse da pagare, il lavoro che sì c’è, ma domani chissà? A me succede. E succede che tutto diviene peso, lentezza e confusione. Perché io sono ancora qui, fra queste case che mi han vista crescere, d’età se non di spirito, perché i colori me li sono inventati grazie a lui, perché la fantasi

OGGI FORSE SÌ

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«Tanti auguri ai fabbricanti di regali pagani! Tanti auguri ai carismatici industriali che producono strenne tutte uguali! Tanti auguri a chi morirà di rabbia negli ingorghi del traffico e magari cristianamente insulterà o accoltellerà chi abbia osato sorpassarlo o abbia osato dare una botta sul didietro della sua santa Seicento!» . E via così, d'invettiva in invettiva, di rabbia in rabbia, perché il cristianesimo di Pasolini non poteva che schiumare, maledire e imprecare. Logorroico, o stanco, o annoiato e deluso. Questo era il suo panteismo, come lo definiva (sbagliando) qualche suo illustre collega, dato che cattolico no, era attributo da non dover utilizzare per chiunque avesse nomea d'intellettuale. E, del resto, non si professava ateo, Pier Paolo? Sì, e proprio in virtù di questo radicale ateismo, che nel suo temperamento e nella sua fase storica assumeva i tratti d'un vitalissimo umanesimo, gli era lecito fustigare senza pietà, con un empito degno di Savona

COSSUTTA © Daniela Tuscano

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Aveva quindici anni nel 1949. E naturalmente era comunista e confuso. Confuso perché comunista. Andava fiero dei suoi stracci da quando aveva sentito il comizio d'un tale laggiù a Turro, periferia nord: anche Cristo era dei "nostri" perché portava la tunica rossa. E poi come ci chiamano, a noi? Poveri cristi! E quindi: noi siamo più vicini a Cristo dei preti. Convinto. Superbo. Per la verità lui barava un po', i preti li frequentava anche. No, frequentava l'oratorio di via Pimentel perché solo lì trovava il campo da calcio. Don Domenico non sopportava più quell'opportunismo e un giorno lo spedì a calci in chiesa, ma non riuscì a recuperare la pecorella smarrita. L'oratorio per il calcio e la sezione del partito per la politica. Ma anche per la sala da ballo. Lì c'erano le ragazze. Comunista perché confuso, il quindicenne aveva un amico democristiano. Che un giorno gli disse: dai che ti faccio conoscere mio zio. - E chi è tuo zio?

ALICE NON LO SA - Ma è tutta colpa sua ?

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L’improvvida uscita di Alice Sabatini, neo-Miss Italia (?) 2015, ha provocato una sequela di commenti ironici e sdegnati. Reazioni giuste e opportune. Alice non è innocente: stava a lei, e solo a lei, studiare e/o informarsi riguardo a eventi storici d’importanza fondamentale. Ciò premesso, una domanda sorge spontanea: ma quanti docenti insegnano ai loro alunni l’importanza del ruolo delle donne nella Resistenza? Quanti conoscono, e diffondono, i nomi di queste eroine? In genere, la “Storia” che conta non è presentata, sia dagli insegnanti sia dai libri di testo, come “affare da uomini”? Non lo diamo per scontato? Come stupirsi, quindi, che una ragazza (o un ragazzo) dall’intelligenza media, o magari non molto brillante, non avverta questo vuoto nel programma scolastico e reputi ovvia e normale l’”insignificanza” delle donne nelle vicende storiche, culturali, artistiche d’un Paese? Se l’apporto femminile alla cultura, i diritti delle donne, sono ritenuti argomenti inu

MORTE D’UN CAMMINATORE

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Issato fra le braccia possenti d’una guardia costiera, fra Turchia e Grecia, sembra un povero fantolino spenzolato. Un pupo che ha perduto il suo Mangiafuoco, e giace immemori in soffitta. Riverso sulla battigia, il corpo del piccolo profugo siriano ha una sua raggelata compostezza. La gravità della testa, sferica come la Terra, lambita dallo stesso mare che poco prima l’ha inghiottito, ne rammenta la dignità di persona. Nella foto vediamo le scarpe. Così umane e inutili. Così poveracce, anteguerra. Simboli del camminatore, di chi non rimane inerte, di chi esplora e fugge: l’uomo. Quelle gambe hanno marciato fin troppo, le hanno trascinate, hanno visto il secco del deserto e il gelo dell’acqua, sole e placenta, elementi vitali, che invece l’hanno ucciso. È morto così il piccolo camminatore, finendo in un porto sepolto, in un respiro che non è giunto. Non so perché non lo pubblico. Forse perché voglio conservare una pietà un po’ mia, perché quello è stato anche un mio figlio, e non

LA FURBONA DEL QUARTIERONE

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Quando non capisco divento nervosa. Come tanti. A me, per la verità, accade d'innervosirmi pure quando capisco (o mi sembra di capire, non voglio essere immodesta). Mi considero una persona semplice, banale. E banalmente constato che certo, adesso non si può che condividere l'orrore di Angela Merkel per tragedie inenarrabili come quella, recente, austriaca (persino le bo rghesissime bagnanti della mia spiaggia parlavano con toni accorati di "trattamento nazista"!); quando esorta ad aiutare i profughi, condanna muri e fili spinati e rammenta che l'"Europa è ricca", opportunità si possono e si devono creare per tutti. Banalmente non si può esimersi dal sostenerla nella sua lotta al dilagante populismo xenofobo e razzista, pericoloso in ogni paese, ma in Germania e dintorni un po' di più. Però - ed è qui che mi salta la mosca al naso - non posso nemmeno schivare un'altra domanda, anch'essa banale: finora tutta questa compassion