cristiani in un paese islamico come la tunisia


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non è completamente vero che i cristiani nei paesi islamici sono discriminati e perseguitati . L''esempio della Tunisia 
 La  facoltà di  scienze politiche  di cagliari   è  all'avanguardia  del  confronto   e del dialogo  con il mondo  islamico  e   su  tematiche   dell'immigrazione    vedere  :

   Infatti si è tenuto       (  locandina  sotto a  sinistra  presa  da  http://www.unica.it/pub/7/show.jsp?id=34928&iso=-2&is=7  sito  della  facoltà di  cagliari    )     tenuto   alla facoltà di scienze politiche  di Cagliari il    16\3\2017  un convegno "  Islam e  cristianesimo  - esperienza  della  chiesa cattolica  in Tunisia     che  ha  visto    la  testimonianza   dell'arcivescovo di Tunisi  , Ilario Antoniazzi,

Redazione ANSA CAGLIARI 16 marzo 2017 19:10 NEWS

                                                                   FOTO© ANSA



I cristiani in Tunisia? Difficile contarli, al minimo segnale di pericolo scappano via e le chiese si svuotano. Allarmismo ingiustificato, però: dopo un attentato non si smette di andare in Francia o in Germania, mentre in Tunisia sono spariti. Parola dell'arcivescovo di Tunisi Ilario Antoniazzi, ospite a Cagliari della tavola rotonda su "Islam e Cristianesimo. L'esperienza della Chiesa cattolica in Tunisia", organizzata dal Dipartimento di Scienze Sociali e delle Istituzioni dell'Università di Cagliari, dall'Arcidiocesi di Cagliari e dalla Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna.
"Quanti sono i cristiani in Tunisia? Una domanda che non si deve mai fare - scherza il vescovo - loro vengono e partono senza avvertire. Poi, basta che sia messa una bomba anche a duecento chilometri, e le chiese, che prima erano piene, diventano vuote perché i fedeli (i cristiani in Tunisia sono tutti stranieri, ndr) sono scappati in aereo. I turisti? Non ce ne sono più. Ed è un errore: il Paese è tranquillo, uno dei posti più sicuri del nord Africa, l'ultimo attentato risale a due anni fa". I limiti della Chiesa in Tunisia? "La condotta della Chiesa è governata da un accordo, che si chiama Modus Vivendi - spiega l'alto prelato - stipulato nel 1964 tra Vaticano e Governo.Ci sono dei limiti: ad esempio non si può parlare di Vangelo con i tunisini, non si possono ricevere donazioni. Ma questo accordo ci dà certezze: la sicurezza di poter restare. Conoscendo i nostri limiti e rispettandoli non abbiamo problemi, nè con la polizia nè col governo.
Oggi constatiamo che siamo molto più richiesti che in passato per parlare dei problemi della Tunisia: terrorismo, guerre, violenza, pace. Abbiamo molto da dire - conferma mons. Antoniazzi - sopratutto tramite il servizio sociale sui prigionieri e sui migranti. La Caritas sta facendo un grande lavoro: siamo rispettati, anche se limitati dal Modus vivendi".
Mai intimidazioni, "la Chiesa - assicura l'arcivescovo - vive serenamente". La conferma arriva anche da Abderrazak Sayadi, docente di Letteratura francese e Religioni comparate, coordinatore del Master in Studi comparati dei fatti religiosi e delle civiltà dell'Università della Manouba (Tunisi). "La situazione si sta stabilizzando - spiega - ma dobbiamo essere vigili: dobbiamo far passare l'idea tra i giovani che il pluralismo religioso è fondamentale per la transizione democratica".
Segnalata durante i lavori la pubblicazione del saggio "Una testimonianza silenziosa. Storia della Chiesa cattolica in Tunisia dal Trattato del Bardo alla rivoluzione dei gelsomini" (Aracne, Roma 2016) di Maria Chiara Cugusi, dottore di ricerca in Storia, istituzioni e relazioni internazionali dell'Asia e dell'Africa moderna e contemporanea (Università di Cagliari).


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