La rivolta di Musi: «Via quei profughi» Ecco il paese del Friuli dove vivono 6 abitanti e 8 immigrati. La gente: «Abbiamo paura. La sera ci chiudiamo in casa»

va bene che la paura e l'indifferenza fanno parte della natura umana ma qui si esagera e si sconfina se non lo si è già in razzismo , xenofobia ed odio verso quello che , SIC , chiamiamo ipocritamente il diverso . E' il caso vergognoso di questo paese . Sta avvenendo proprio come il film il vento fa il suo giro di Giorgio Diritti.




Ecco a cosa porta l'odio e il becero populismo seminato in questi ultimi 25 anni ( come già anticipavano i Mcr in Giro di vite che poi è la colonna sonora del post d'oggi insieme  al  cd   , non saprei  sono una più toccante  dell'altra  canzoni-per-bhalobasa)

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La rivolta di Musi: «Via quei profughi»
Ecco il paese del Friuli dove vivono 6 abitanti e 8 immigrati. La gente: «Abbiamo paura. La sera ci chiudiamo in casa»
 di Davide Vicedomini








LUSEVERA. A Musi, ieri mattina, tra le nuvole faceva capolino il sole. Un fatto eccezionale, se si pensa che questa piccola frazione incastonata tra le Alpi Giulie, detiene il record italiano di piovosità. Da alcuni giorno nella borgata di Lusevera il tempo è passato, però, in secondo piano. A interrompere la quotidianità sono arrivati, infatti, otto richiedenti asilo. Un gruppo sparuto numericamente, non fosse altro che supera quella dei residenti, appena sei.
Otto profughi in un paese di 6 abitanti: ecco le reazioniL'arrivo di otto profughi in un paese di sei abitanti ha provocato una serie di reazioni: non danno fastidio, dicono i residenti, ma dovrebbero andare altrove. E c'è chi ha paura di uscire di casa. Di parere diverso il sindaco Marchiol, che li ha incontrati e che rassicura la popolazione: sono ragazzi tranquilli e desiderosi di integrarsi. Ecco le interviste raccolte da Davide Vicedomini




Lusevera era già abituata ad accogliere i profughi. Diciassette sono alloggiati a Vedronza. Ma nessuno aveva mai fatto polemica. Nessuno si era azzardato ad alzare gli scudi. A Musi, invece, quei ragazzi di etnia afghana e pakistana danno fastidio. Dà fastidio soprattutto il fatto che nessuno fosse stato informato del loro arrivo. «La sera tra il 29 e il 30 dicembre abbiamo visto due auto scaricare alcune persone vicino alla chiesa del paese - racconta Annamaria Lendaro, che è “la custode” del paese, l’unica che giorno e notte vive a Musi, mentre tutti gli altri lavorano -. Il giorno dopo ci siamo domandati chi fossero quelle persone. Fino a quando li abbiamo visti sbucare da quella casa che è di proprietà di un’associazione. E abbiamo capito che erano stranieri. Ed erano tanti».
Annamaria non si sente sicura e preferisce stare chiusa in casa tutto il giorno. «Non vado nemmeno in cimitero - confida -. Non sono abituata a vedere gente strana. Mi ha colpito il fatto che non tengano le finestre aperte. Li vedo uscire ogni tanto a telefonare».
«Io li manderei via - attacca -. Non hanno fatto nulla di grave. Ma non capisco perchè li abbiano spediti qui. Un mio vicino ha anche chiamato i carabinieri. Abbiamo paura che ne arrivino altri».
Gli otto ragazzi alloggiano nella sede della cooperativa sociale “Il Pinocchio” di Brescia, nel centro del paese. All’interno c’è tutto il necessario per vivere comodamente. C’è una cucina, una lavanderia, una sala da pranzo enorme con due tavole da dieci posti l’uno e sei stanze.
Quando ci rechiamo sul posto con il sindaco Guido Marchiol, durante la sua prima visita ufficiale, verso le 11, i richiedenti asilo sono ancora a dormire. Ma accedere nei locali non è difficile perchè la porta è aperta. Salutano, parlano in un italiano stentato, nonostante otto mesi di lezioni e offrono il caffè. Mentre chiacchierano e raccontano le loro singole storie, fatte di sofferenze e speranze, ricevono anche la visita dei carabinieri. I militari per tutta la durata dell’incontro tengono a vista la borgata con diversi pattugliamenti.
«Non conosciamo nessuno – dicono i ragazzi, che hanno un età compresa tra i 20 e i 28 anni –. Nessuno degli abitanti è venuto finora a trovarci».
E in effetti la vita a Musi è da separati in casa. «Noi non li vogliamo - sbotta Odorico Lendaro -. Hanno sconvolto la nostra tranquillità. Qui ci sono solo arbusti e fauna. Perchè sono arrivati qua? Chi li ha mandati? E perchè nessuno ci ha avvisati?». «Parlano in arabo al telefono - continua -. Non capiamo nulla. Arrivano fin sotto la mia casa. Mi sento spiato. Prima potevo girare per il paese tranquillo. Potevo lasciare la porta di casa aperta. Oggi non lo faccio più. Sono strani. A Capodanno ho visto uno di loro che era scalzo e inginocchiato. Forse pregava. Un altro, una sera, era vestito di bianco e gesticolava. Sembrava un fantasma».
A Musi una volta c’erano anche tre osterie e la sezione distaccata dell’Università di botanica. Oggi di quel paese è rimasto ben poco. Si contano di più le seconde case, e quelle in vendita. Separato da un torrente c’è la borgata di Simaz - l’altra, la più numerosa, è quella di Tanataviele - dove c’è un solo abitante. E’ Flavio Coletto che dice sorridendo. «Abbiamo avuto un incremento improvviso di popolazione. Non eravamo abituati a questo. Li ho visti qualche volta giocare a cricket. Ma spesso sono chiusi in casa, anche perchè qui spesso piove e non c’è molto da fare. Altrimenti girano per il paese con il cellulare, forse per cercare campo, visto che le linee stentano a prendere e internet è lentissimo. Non disturbano ma mi domando perchè li abbiano portati qua».
Flavio bada ai suoi due cavalli. Si sveglia la mattina presto per mandare avanti la propria attività. «Certo - conclude -, dà un po’ di fastidio vedere che queste persone ricevono 35 euro al giorno e hanno tutti gli agi, mentre io mi devo svegliare tutte le mattina alle 4 per sopravvivere».

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