OGGI FORSE SÌ


«Tanti auguri ai fabbricanti di regali pagani! Tanti auguri ai carismatici industriali che producono strenne tutte uguali! Tanti auguri a chi morirà di rabbia negli ingorghi del traffico e magari cristianamente insulterà o accoltellerà chi abbia osato sorpassarlo o abbia osato dare una botta sul didietro della sua santa Seicento!».


E via così, d'invettiva in invettiva, di rabbia in rabbia, perché il cristianesimo di Pasolini non poteva che schiumare, maledire e imprecare. Logorroico, o stanco, o annoiato e deluso. Questo era il suo panteismo, come lo definiva (sbagliando) qualche suo illustre collega, dato che cattolico no, era attributo da non dover utilizzare per chiunque avesse nomea d'intellettuale. E, del resto, non si professava ateo, Pier Paolo? Sì, e proprio in virtù di questo radicale ateismo, che nel suo temperamento e nella sua fase storica assumeva i tratti d'un vitalissimo umanesimo, gli era lecito fustigare senza pietà, con un empito degno di Savonarola. Senza la passione per l'umano, il suo urlo sarebbe il vagito d'un narciso, come tanti ai giorni nostri. Piovuto in un tempo gramo, più veterotestamentario, talora, che propriamente evangelico, Pier Paolo sapeva bene che il consumismo non permetteva riscatto né conversioni; così, appena poteva, fuggiva «in paesi maomettani». Aggettivo desueto e fuorviante, che mai un musulmano accetterebbe, ma che lui impiegava, con vezzo d'esteta. Erano gli anni della Trilogia, della ricerca - spasmodica, appassionata - della primitività, ormai perduta da noi, eccetto che negli anfratti astorici della plebe. Anni ingenui, leopardiani, poi abiurati - altro verbo strappato alla religione.  E adesso, quanto più bruciante risuonerebbe quell'abiura, quanto più disperata, dopo il tradimento compiuto anche laggiù, anche dai paesi «maomettani» in preda al fondamentalismo o al clericalismo ottuso, come quella Chiesa contro cui il poeta si scagliò?  Gli auguri veri lui li riservava, naturalmente, ai carcerati e ai disgraziati; cioè a dire, ai primi destinatari del Vangelo; solo che oggi, oggi forse non scapperebbe. Oggi lo proclamerebbe sui tetti, che quell'annuncio, e quel presepe, era per loro, era loro; e per tanti; ma non per tutti. Il Natale non arriva per i fabbricanti di regali, non per i fondamentalisti, non per i clericali - tutti pagani, certo - ma soprattutto non per gl'indifferenti, i consumisti del linguaggio paritario, gli androidi del politicamente corretto; quelli che il presepe lo cancellerebbero perché ne temono il simbolo, e la potenza tutta umana - il battito del tempo, l'orma dei secoli, il fiato del pensiero. Oggi forse Pier Paolo rimarrebbe qui, i disgraziati li ritroverebbe ovunque, italiani e stranieri, profughi e immigrati, distrutti dalla miseria e dalle città inquinate per lo sviluppo senza progresso. Oggi lui, laico, si batterebbe per Asia Bibi, perché donna, perché cristiana non omologata, dimenticata dai professionisti dei diritti umani. Oggi, a mondo rimpicciolito, non troverebbe scampo, perché l'uomo è ovunque uguale, assediato dal nonsenso e dalla febbre della ricomposizione; d'un nuovo D-io. Oggi forse sì, starebbe fra noi, magari in un quartieraccio, nelle metropoli tutte uguali, col viso nascosto in mani lacrimose. 
                                    © Daniela Tuscano

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