DIRE L'INDICIBILE © Daniela Tuscano



L'icona del Natale è lei. Da sette anni: un tempo infinito. Settanta volte sette. 
Asia Bibi è donna e ha il nome d'un continente. E contiene, infatti, moltitudini, nel momento in cui riconduce alle origini. In Asia tutto è nato, in Asia si decide il futuro dell'umanità.
Asia trascorre le feste in galera, accusata assurdamente di blasfemia, sottoposta a violenze fisiche e psicologiche e, infine, condannata a morte. Continua a esistere, la sua immagine modesta e tenace non esce dal nostro sguardo interiore, benché occultata scrupolosamente dai media. In suo nome non si organizzano manifestazioni, le femministe non scendono in piAsia Bibazza - non foss'altro, per lo stupro subito -, i terzomondisti da salotto si disinteressano alla sua vicenda, spesso addirittura la
ignorano. Asia non scalda i cuori occidentali, perché cristiana. Cristiana cattolica.
È una martire periferica, ingombrante. Asia scardina la parola d'ordine del politicamente corretto, per cui tutto ciò che è cristiano va bandito. Non previsto: una cristiana asiatica pare un ossimoro ai nichilisti d'oggi, analfabeti della storia.


Ma Asia imbarazza anche noi, cristiani tiepidi, pavidi, imperturbabili. I cristiani della Chiesa di Laodicea (oggi Latakia, in Siria: mai disprezzare le profezie...) di cui l'Apocalisse narra: "Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca. Tu dici: 'Sono ricco, mi sono arricchito; non ho bisogno di nulla', ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo". Asia la temiamo per la limpida totalità, l'assenza di diplomazia, il semplice esistere. 
Temiamo di offendere l'altro, non per rispetto, che' ci fa anzi paura, e lo odiamo. La nostra esitazione deriva da convenienza, calcolo. A forza di considerare tutto uguale, siamo diventati cinici e indifferenti. Ma c'è di peggio: non troviamo le parole perché la nostra lingua si è rattrappita, è di nuovo muta, ancora in attesa dell'effata', dell'apertura.
Aprirsi, però, comporta l'ascolto, e noi non siamo solo ciechi, ma pure sordi.
"Perdono ai miei persecutori", proclama Asia dalla sua cella. È questo il suo Natale 2015. E quel verbo, perdono, quel sostantivo, misericordia, non riusciamo più a concepirlo; mancando l'ascolto, siamo incapaci di dire l'indicibile.
Smarrito il senso del limite, non sappiamo più gettarci altrove, "per l'alto mare aperto"; cioè trasumanare. L'eccesso d'immanenza, lungi dall'ampliare il raggio d'azione, lo degrada a mera animalità. Diveniamo prevedibili, ovvi; schiavi.
Giovanni Testori si domandava se l'ossessione per i lati crudi, spietati, violenti dell'esistenza non celasse un narcissico pessimismo; un'incapacità di declinare il bello - quindi il vero e non solo il reale, quindi la speranza, quindi il futuro - nella vita quotidiana, e renderlo possibile. Dopo il Male assoluto, Dante arrivò a rappresentare il sommo Bene; e lo fece perché gli camminava accanto, apparteneva al suo orizzonte. 
Ricacciato nel limbo delle illusioni - grida il filosofo! - il Bene e il Bello è oggi per noi un muro invalicabile. Asia Bibi è lì, con la sua archetipa misericordia, a ricordare che dal fondo, dall'estrema degradazione, non si esce con l'irresolutezza o la violenza; ma con l'amore. L'amore vero, maiuscolo, non lo stucchevole sentimentalismo televisivo. "Confido nell'intima bontà dell'uomo" erano le ultime parole del Diario di Anna Frank. Quest'umanesimo, che non conosce barriere religiose ma nella religione, cioè nel legame, trova senso e radici, è l'assurdo stupefatto del Natale, oggi incarnato in una donna asiatica, dallo sguardo dolce e fermo. Sguardo d'amore; lasciamoci amare. 

                           © Daniela Tuscano

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