IL MARE A MILANO

Tradizione rispettata. Nubi spesse, aria frizzante. Riecco la Milano degli stereotipi. Forse si mostra così perché i suoi soli abitanti possano capirla. E valla a capire. Ma è bella lo stesso, da oggi di più. E, all’improvviso, il miracolo. La Darsena in abbandono è diventata un porticciolo da fiaba, con tanto di moli, vele, gagliardetti, alberi fronzuti. Che par di sentirli, i marinai, coi loro crepitii di parole salmastre; o i puffini dell’Adriatico immersi in un arioso nulla.
Invece non ci sono marinai ma i Canottieri Olona; i germani reali al posto dei puffini; il Naviglio è una fresca mano verde inghiottita dalla pietra dei ponti, solcata dai battelli come un tempo dalle chiatte. Di qua montagne di case, di là l’imbarcadero lacustre. Ai lati deliziose e ancor spoglie salette galleggianti, serre d’acqua, robivecchi e cassettoni. E poi le corti, edere spenzolate come le lacrime che il cielo si ostina a trattenere, lupi di mare metropolitani. Milano celebra la sua voglia di leggerezza. Non si cura dell’aria grigia, vuol sentirsi paese. Urla di vogatori e odori di ossobuco, è tutta una contraddizione questa città, negazione continua, cambio di passo, non puoi starle dietro ma seguirne l’onda, lasciartene modellare. Non sei che grano d’arenaria, anonimo e irrinunciabile. E sei niente e solitudine e per questo devi uscire, voltar l’angolo, allora la città saprà regalarti un ruvido bacio, il labirinto mutevole delle sue vie, il mare e le lavandaie, i grattacieli e gli orti, la chiesa secentesca e la ferrovia. A patto che ti fidi e ti lasci guidare. Non è facile, pencolare sul vuoto. Ma, a Milano, non hai alternative.

                                      Daniela Tuscano

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