PINO DANIELE NON C'È PIÙ


"All'intrasatta", direbbe Totò. Pino non te l'aspetti, ti stordisce. Pino era l'adolescenza ribelle, quando davvero il Sud somigliava all'Africa laica, che si liberava dall'oppressione coloniale. Le canzoni di Pino Daniele fiammeggiavano come un tramonto violento. Contenevano rabbia, passione, mestizia. Ed erano, soprattutto, numerose. "Terra mia", "Napule è". "



Chillo è nu buono guaglione" (un femminiello, cioè), "Che calore", "Je so' pazzo", "Oi né"... pur se io resto legata in particolare a "Nero a metà" dove mi piace praticamente tutto. "Voglio di più" e "Alleria" varrebbero l'acquisto dell'album, un album già del successo, eppure ancor scabro, masaniellesco, scuro come un dipinto barocco. Greco anche, il tipo fisico in cui Daniele giustamente si rispecchiava. Pino cantava quasi sempre in un napoletano smozzicato, lallazione di bimbo sporco, e tuttavia lo capivi, anche se a Milano, e non solo lì, non afferravi una sillaba. Il napoletano di Pino Daniele non era l'unica lingua ad aver conquistato l'universalità, ma l'ha raggiunta in modo diverso sia dalla grande tradizione che l'aveva preceduta, sia dai contemporanei che facevano di tutto per scrollarsi di dosso l'immagine convenzionale della loro metropoli. Nel momento in cui esasperava certi tratti lazzareschi, Pino se ne staccava nettamente. Era la Napoli che non ci stava, la stessa - paragone spontaneo, scontato, lo so: ma inevitabile - dell'amico Troisi.
Poi, certo, il meglio l'aveva dato in quegli anni '70 ormai allo scarto (e allo sbando). Poi erano state belle canzoni, emozionanti pure, ma legate, inevitabilmente, a una storia diversa. Come tanti, come tutti. Ma Pino, e Napoli Centrale, e James Senese, e Tullio De Piscopo già con una sua vicenda, e gli sguardi seri e cupi nelle copertine in bianconero... restano impressi negli occhi e sul rigo musicale. Per me, era ancora una volta tramonto. Quello dell'estate '79, all'Arena di Milano, ancor semisconosciuto, durante un concerto gratuito (in coppia con Finardi, e quasi suo supporter) organizzato dall'Unità. Allora ci si credeva, e allora io credevo in Ilaria, amica d'una conclusione, amica d'un biennio in corsa. Amica smarrita. Pino lo ascoltammo sdraiate sul manto erboso e spelagno, ancor tiepido di stelle, e il mondo sembrava migliore.

                                            © Daniela Tuscano

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