come sprecare i soldi .. gli sprechi dela regione sardegna Pagati per fare nulla in enti soppressi da anni

 Se  gli tagliassero  da qui i  soldi   , anziché  che spremerci  l'ulteriormente   la  nuova  sardegna  del  5\2\2014
Pagati per fare nulla  in enti soppressi da anni
gli sprechi della Regione sardegna 

di Giovanni Bua
SASSARI Non saranno come Hiroo Onoda, l’ultimo soldato giapponese ad arrendersi trent’anni dopo la fine della seconda guerra mondiale. Ma poco ci manca. Da ben sei anni infatti e, a quanto è dato sapere, a tempo indeterminato, due dipendenti e un dirigente vanno ogni mattina a lavoro nelle Comunità montane numero 1 (Ittiri, Osilo, Ploaghe, Villanova Monteleone) e numero 2 (Badesi, Chiaramonti, Erula, Nulvi, Perfugas, Tergu, Viddalba). Ufficialmente soppresse, come le altre 23 (5 sono state poi ripristinate) dalla giunta regionale nel 20 marzo 2007. I giapponesi. Ogni mattina aprono l’ufficio (negli anni sono stati relegati in una stanza), si siedono alla loro scrivania, leggono i giornali, prendono qualche caffè e aspettano che scorra il loro orario di lavoro (dalle 18 alle 36 ore settimanali). E poi, almeno fino al 2013, a fine mese incassano il loro stipendio, erogato da mamma
Regione. Una situazione surreale, causata da un buco normativo e dalla solita approssimazione. La soppressione. All’atto dello soppressione delle comunità infatti i dipendenti dovevano essere ricollocati o nei Comuni del territorio, o nelle Province, o nelle nascenti unioni dei Comuni. Nessuno dei tre però, tra blocco delle assunzioni per il patto di stabilità, Province appena formate e poi in via di scioglimento e Unioni dei Comuni mai decollate in zona, ha trovato alloggio. Le norme. L’obbligo formale a prenderli non esiste, licenziarli è impossibile. I tre dunque rimangono a scaldare la sedia in un ente che non esiste. Ma che, per la loro presenza, la Regione deve continuare a finanziare. Noccioline, certo, rispetto agli 11 milioni che valeva la torta delle comunità prima del 2007, ma comunque soldi letteralmente buttati. Zero stipendi. E se la ricca comunità dell’Anglona, proprietaria anche della sua sede, può pagare con le sue riserve di cassa lo stipendio a 5 zeri di un dirigente (che, a esser precisi, ha fatto il diavolo a quattro per essere trasferito, senza riuscirci) ai suoi due colleghi del Coros è andata decisamente peggio: le casse sono vuote e i 60mila euro annui stanziati da Cagliari non arrivano più. L’ultimo bonifico è da 32mila euro per l’anticipo competenze del 2012. Risultato: il lavoro è pochino ma la busta paga è vuota. Assunzione post mortem. Ad aggiungere un ulteriore pizzico di follia due particolari: uno dei due dipendenti della comunità montana numero 1, con un contratto part-time da 18 ore a settimana, è stata assunta nel 2011. Dopo aver vinto il concorso nel 1999 infatti il posto non le era stato assegnato. Lei ha fatto ricorso al Tar, la giustizia ha i suoi tempi. E il via libera definitivo è arrivato solo 24 mesi fa, a Comunità montana sepolta già da tre anni. Il secondo invece ha compiuto sessant’anni, e sperava che a risolvere tutto sarebbe arrivata la pensione. Ma Fornero gli ha regalato in zona Cesarini altri cinque anni di non lavoro. La soluzione. Per risolvere il tutto in realtà il modo ci sarebbe: la Regione dovrebbe mettere mano alla legge numero 12 del 2 agosto 2005 sulle “Norme per le unioni di comuni e le comunità montane”. Quella che ha deciso le soppressioni e le destinazioni degli esodati. Aggiungendo alle possibili vie di uscita previste la Regione stessa (che di fatto già paga i loro stipendi). Facendo così i tre impiegati sarebbero ricollocati, troverebbero anche qualcosa da fare, e le due comunità zombie potrebbero essere finalmente chiuse. Gli zombie. Modifica che in molti promettono. Ma nessuno fa. Anche perché risolverebbe i problemi di sole tre persone. Che, a differenza di Hiroo Onoda, non si possono arrendere. E riempiono le loro giornate con denunce per mancati pagamenti e demansionamento, lettura dei giornali e tanti caffè. Ultimi giapponesi di una guerra per la razionalizzazione della macchina amministrativa che non avrà mai fine.
  Però  tale  situazione  dev'essere  cosi  snervantge  se  addirittura   gli stessi protagonisti  si lamentano
Il racconto del geometra Lombardi: mi sento inutile, stare qui è deprimente

«Prima era bello, ora è un incubo»

SASSARI «Il primo mese è stato bello. Perché negarlo. Erano i primi di marzo del 2007. E formalmente eravamo chiusi. Nessuno a controllarti, nessuno a darti ordini. Un po’ di lavoro rimasto da smaltire, qualche pagamento da fare. Ma senza fretta, senza ansia. Il primo mese è stato bello, ma poi è iniziato l’incubo». Sulle prime viene difficile credere a Stefano Lombardi, geometra di Ploaghe di sessant’anni, quando ti dice che di non lavorare (pagato) non ne può proprio più. Ma poi, mentre ti conduce passo dopo passo dentro il suo kafkiano ménage, quasi vien voglia di dargli una pacca sulla spalla, e di dirgli di tener duro. Eppure a prima vista la sua situazione è, a dir poco, invidiabile. Unico dipendente a tempo pieno della comunità numero 1, chiusa dal marzo del 2007, viene pagato per non fare nulla. «Letteralmente nulla – spiega –. Non abbiamo pratiche, non abbiamo competenze, non abbiamo soldi. Non potremmo far nulla nemmeno se volessimo. Anzi, a dirla tutta, non esistiamo proprio. Quindi far qualcosa è proprio proibito». La vista scorre uguale da quel marzo del 2007. «La sede della comunità è a Osilo, in via Sanna Tolu. All’inizio l’abbiamo tenuta, ma è di proprietà del Comune, e quindi dopo un po’ ci hanno messo la sede dei servizi sociali. A noi hanno dato una stanzetta». Il noi è perché Lombardi dal 2011 non è più solo: «Sì, va meglio – spiega tra il serio e lo scherzoso – dal 2011 hanno assunto una persona. So che sembra assurdo, visto che non esistevamo più da 4 anni, ma lei aveva vinto un concorso nel 1999, ha fatto ricorso, ne aveva diritto». La seconda impiegata lavora part-time, 18 ore a settimana. «Cerchiamo di metterci d’accordo per venire a turno. Non so perché poi, visto che non possiamo ricevere nessuno». La questione è completamente autogestita: «Nessuno ci controlla. Io ad esempio so quanti giorni di ferie devo fare e li faccio. Ma non devo renderne conto a nessuno. E, a parte gli amici del Comune con cui scambio due chiacchiere, dubito che qualcuno si accorga». Un sogno ad occhi aperti verrebbe da pensare: «Verrebbe solo, purtroppo. I problemi sono vari. Prima di tutto non avere nulla da fare è deprimente, il tempo non passa mai. Dire che ti senti inutile non rende l’idea. Poi di fatto non impari più niente. Io sono un geometra, gestivo progetti, appalti, direzione lavori, lo sportello unico di dieci Comuni. Ho chiesto in tutti i modi di essere trasferito in un Comune, in Provincia. Ma adesso, se me lo concedessero, dovrei imparare tutto da capo. Non conosco più leggi, normative. Il primo periodo mi tenevo aggiornato, ma poi ha perso senso farlo». Come se non bastasse da ormai oltre un anno è venuta meno anche l’ultima parte del sogno: la busta paga che comunque arrivava ogni mese. «La Regione ha iniziato a pagarci a singhiozzo. Ci ha dato prima un anticipo del 2012, che ha coperto un terzo delle nostre paghe. Poi niente per il 2013. È oltre un anno che non prendiamo stipendio. E, comprensibilmente, non facendo nulla, è difficile portare avanti qualsiasi tipo di rivendicazione». Il problema è che, per i due impiegati, il nulla è tutto. «È il mio lavoro – spiega il geometra sessantenne – che faccio da 32 anni. Potrei non venire, potrei cercare qualcosa in nero. Ma mi dico, perché? Hanno chiuso il mio posto di lavoro e per legge mi dovevano ricollocare. E io, aspettando questo, ogni mattina mi alzo e vengo in ufficio. Penso che prima o poi riprenderanno a pagarmi. Ho parlato con qualche avvocato per una causa di demansionamento, forse la farò anche. Ma alla fine la speranza è che qualcuno arrivi a risolvere amichevolmente le cose». L’ultima fregatura? «Ho compiuto 60 anni – chiude il geometra – la pensione, e la fine dell’incubo, era vicina. Ma poi è arrivata la Fornero, con la sua riforma. Se ne parla tra cinque anni almeno. Ne avrò di tempo per leggere giornali e prendere caffè».

 ma  per  questioni burocratiche   come  dice l'articolo sulla nuova sardegna del  6\2\2014
Tre al lavoro nei due enti “fantasma” del Sassarese: un pasticcio burocratico
 Manca ancora un accordo per trovare una nuova occupazione ai dipendenti

I fondi della soppressione
 utilizzati per gli stipendi

di Giovanni Bua wSASSARI È messa nero su bianco nella delibera 52 del 10 dicembre 2013 la sopravvivenza delle due comunità montane “giapponesi” nel Sassarese. Le uniche scampate alle rasoiate della legge del 2005 firmata da Renato Soru. Una delibera che assegna 5 milioni di risorse a favore di
Comuni singoli o associati e Province che hanno assorbito negli anni le 132 unità provenienti dai 22 enti cancellati. Ventidue su 24, perché: «Il processo di soppressione può dirsi ormai concluso ad eccezione del trasferimento dei tre dipendenti rimasti in carico alla Comunità 1 con sede a Osilo e la Comunità 2, con sede a Perfugas, per i quali, nonostante i ripetuti tentativi, non si sono concretizzate le ipotesi di mobilità previste in legge». Insomma, mentre sono state sottoscritte le intese per l’assegnazione dei beni e dei procedimenti in corso, non è stato possibile raggiungere l’accordo anche per il personale che rimane ancora in servizio negli enti disciolti, pur non potendo fare assolutamente nulla se non guardare il muro per 36 ore settimanali. Di fatto rendendo impossibile la loro dismissione. A rendere ancor più surreale il tutto quella che per i tre “giapponesi” sull’orlo di una crisi di nervi è comunque una buona notizia. Il loro stipendio infatti sarà garantito anche quest’anno dagli stessi fondi che dovevano servire a incentivare i Comuni o le Province ad assumerli. Difficile ipotizzare quale sarà la soluzione definitiva del problema. La legge regionale 12 del 2005 prevede che i dipendenti delle comunità montane soppresse vengano assegnati previa intesa con gli enti destinatari, che a Sassari è completamente mancata, ad esempio, nel caso di Perfugas, con dirigente e Provincia finiti in tribunale. Che vengano assegnati prioritariamente all’unione di comuni, che però a Osilo, dove lavorano gli altri due impiegati, non è nata. In subordine alla Provincia, che ora però è in via di scioglimento, e per la quale presto si presenterà lo stesso problema moltiplicato per cento. E in ulteriore subordine ai Comuni, che però non possono, causa patto di stabilità, assumere proprio nessuno. Motivo per cui: «Il personale delle comunità montane 1 – spiega la delibera – non ha trovato collocazione in nessuna delle ipotesi indicate e l’attuale formulazione della norma non prevede alcun percorso alternativo nel caso in cui l’intesa non venga raggiunta». «Per ovviare a questo – continua la delibera – sono stati presentati emendamenti, anche nella manovra finanziaria 2014-2016, con lo scopo di introdurre una soluzione alternativa al mancato raggiungimento dell’intesa ed evitare eventuali responsabilità amministrative». Emendamenti di cui però nulla è dato sapere. Come del futuro dei tre dipendenti. Che continuano il loro non lavoro quotidiano, intrappolati in un vicolo cieco di assurda burocrazia.




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