odio non rete non serve la censura serve piuttosto l'etica e non violenza , leggi ,impegno

da  repuubblica   del  9\1\2014  un interessante  articolo  

Leggi, etica, impegno  "E la censura non serve"
Inchiesta intorno agli ultimi insulti comparsi su internet, a caccia di rimedi. Dire che l'odio nasce dal web è ridicolo. Ma il grido "nessuno tocchi la Rete" non porta da nessuna parte
di CARMINE SAVIANO


                                                       Caterina Simonsen (ansa)



L'urgenza è parlarne. Analizzare, confrontarsi, elaborare ipotesi operative. Perché il caso dei macabri commenti online indirizzati a Caterina Simonsen,Pierluigi Bersani prima, e ad Angela Merkel poi, entra nel dibattito sull'esercizio pubblico della comunicazione. E coinvolge il mondo del giornalismo. Tout court, non solo nella sua versione digitale. Di più: lo chiama ad un impegno sul legame futuro tra giornali, social media e lettori. Moderazione delle inconsulte esplosioni di rabbia, ruolo delle redazioni e delle testate, tutela della libertà d'espressione e condanna, netta, di ogni istigazione alla violenza.
I temi sul tavolo sono tanti. Ritornano ciclicamente e sono infiammabili. Basta pensare alle recenti polemiche che, sul caso Bersani, hanno coinvolto numerose testate d'informazione. Tra cui anche Repubblica.it. Dove esiste una squadra di moderatori che segue i commenti che appaiono in calce agli articoli. Una policy precisa: nessuna offesa, nessuna forma di violenza verbale è permessa. Qui, invece, le linee-guida del Guardian. Più difficile, se non impossibile, il controllo sulle pagine Facebook, in cui il social network continua ad essere estremamente carente.
In questi giorni sono state numerose le proposte formulate dagli addetti ai lavori. Iniziamo qui ricordando quelle che Vittorio Zambardino ha affidato a Wired. Sei punti. Sei tracce per iniziare a sondare il territorio, a "definire il problema". Si parte dai postulati. Tra cui: il bando al giornalismo delle emozioni, la dismissione dell'interminabile "guerricciola di religione intitolata Odio sul web" e la fine dell'integralismo "del Nessuno Tocchi La Rete che di digitale, cioè della flessibilità e della disponibilità a comprendere il nuovo che è propria della cultura scientifica, non ha assolutamente nulla".Poi la proposta. Il cui primo punto è l'analisi delle "leggi degli altri". Ovvero: "come il problema viene definito da altri paesi: analisi delle loro legislazioni, delle pratiche giudiziarie, della giurisprudenza". Il secondo punto riguarda i "diritti da non violare". Perché bisogna conoscere "cosa si è scritto nel campo dei diritti digitali, una corrente di pensiero che nel mondo non è che sia proprio a zero". Consigli per approfondire: Stefano Rodotà e il lavoro del gruppo coordinato da Andrea Rossetti all'università Bicocca di Milano.
Terzo passo, lo "stato dell'arte in Italia". Qui si tratta di formulare la domanda sulle "pratiche giurisprudenziali e lo stato (anche culturale) di chi si trova a giudicare di questi fatti". Il quarto punto riguarda "l'analisi delle policy dei social network e l'interazione tra questi e le autorità governative, qui, in Italia e altrove". Poi la raccolta del parere "delle polizie e dei giudici". Perché "bisogna sentire cosa ne pensano le agenzie di enforcement e coloro che stanno nei tribunali e nelle procure: che parlino allo scoperto una volta tanto, invece di fare il loro lobbying con parlamentari e istituzioni, con i singoli giornalisti e i direttori". Infine "ci vuole un punto di coordinamento e circolazione di questo lavoro. Di solito è ciò che fa un giornale, che, certo, può organizzare un convegno ma poi contano le cose scritte, le cose che vanno al grande pubblico".
Sul versante "etica dell'utente", arriva l'idea di Luca Bottura. Che in post intitolato "Una cosa civile" - pubblicato sul suo sito - rivolge un invito. Andare sulla pagine che raccolgono i commenti al malore di Bersani, "scegliere un tizio - ne basta uno - che esulta e gli augura la morte. Poi, se vi va, gli scrivete, in posta privata, per evitare flame, una cosa del tipo: credo che lei abbia scritto una cosa davvero incivile. Capita, sui social, di andare oltre. Siamo tutti fallibili. La cancelli, ci fa una figura migliore. Cordiali saluti. Poi guardate l'effetto che fa. Una (risposta) garbata li seppellirà. Forse".
Le cause di queste cicliche esplosioni di violenza? "E' ridicolo pensare che sia colpa della rete. Online metto per iscritto le mie conversazioni. Sono cose che già dico al bar, per strada, nei corridoi. Il punto è che esiste un'aggressività diffusa legata alla crisi, al sentimento anti-casta. Internet è solo uno specchio di quello che c'è già", dice a Repubblica.it Giovanna Cosenza, professoressa di Comunicazione Politica a Bologna. "E non collegherei il problema della violenza verbale all'anonimato: chi offende è una persona con nome e cognome. Ingenua - perché rintracciabile - oltre che stupida. Il tema è l'assenza del faccia a faccia, una comunicazione a distanza che non diventa conversazione. Non ci si guarda negli occhi, non è presente il corpo dell'altro".
Poi l'avvertimento: "Non bisogna dimenticare che l'aggressività dipende anche dalle modalità con cui comunico. E la si può prevenire, in parte, con lo stile attraverso cui ci si pone. Abbassare i toni, e i politici potrebbero dare l'esempio, di certo aiuta. La comunicazione va gestita". E la soluzione - una strada verso la soluzione del problema - è nella società: diffondere un'etica della comunicazione utilizzando tutte le agenzie culturali di cui si dispone, dalla scuola ai partiti. Senza dimenticare, ancora, che "è folle incolpare internet: basta pensare che le radici mediatiche di questo fenomeno risalgono a vent'anni fa, alle prime fasi del talk show".
Su anonimato e politiche giornalistiche sulla moderazione dei commenti,interviene, su Wired, anche Fabio Chiusi. "Si può decidere di far sparire al più presto possibile i commenti di odio con politiche di moderazione molto severe, o addirittura eliminando la possibilità di commentare. Ma è arduo se non impossibile sostenere che così facendo si elimina il problema. Ammesso che lo sia". Perché si tratta di comprendere "che vietando l'idiozia non la si combatte, ma rende affascinante. E, soprattutto, la si nasconde". Il punto è capire che "i social media hanno questo enorme pregio di metterci di fronte all'imbecillità umana come al suo genio, di datizzare e mettere per iscritto entrambi, così che siano fruibili oggi e forse sempre. Un'opportunità inedita per capire noi stessi (non ipotetici avatar del virtuale) e la società in cui viviamo, più che per indignarci per avere finalmente realizzato quanto poco ci piaccia".
Da ricordare, infine, le parole di Arianna Ciccone, fondatrice del Festival del Giornalismo di Perugia. Che il 5 gennaio, poche ore dopo il malore di Bersani, scriveva su Valigia Blu, il blog collettivo sul "giornalismo che cambia":"Non si capisce questa pretesa di "bello" per la dimensione digitale. Siamo brutti, bruttissimi, cattivi, meschini, vigliacchi. In Rete c'è l'Umanità, la nostra umanità. Siamo tanti e la nostra bruttezza così messa in scena tutta insieme contemporaneamente spaventa, certamente. Quello che fa forse più tenerezza è la mancanza di senso estetico. Ecco: l'odio esige un certo stile. Tutto qui".

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