Noi siamo il miracolo

Grazie! Un immenso grazie viene da rivolgere a Malala dopo il suo discorso all'Onu di ieri sera. Immediatamente dopo sorge spontanea una richiesta di perdono. Io stessa sento di doverglielo chiedere per prima. Io che oso deprimermi, che mi fermo a metà cammino. Che molto spesso mi sento inutile e insensata.
Io, comunque, sono qui. Nessuno ha tentato di spararmi perché non godessi del basilare diritto all'istruzione. Nessuno mi ha impedito di realizzare, sia pur con fatica, il mio sogno d'insegnare. Chiedo perdono a Malala. Per tutte le volte che ho osato arrendermi. Per tutte le volte che ho perso fiducia nell'essere umano e nella sua capacità di risorgere.
Hanno scritto che è cresciuta troppo presto. Falso. Malala è ancora una ragazzina. Lo sguardo bellissimo e pesto, segno indelebile dell'immane violenza subita, non è quello di un'adulta. Troppo diretto e autentico. Uno sguardo che denuda, come certe domande dei bambini, che paiono piovere da chissà quale pianeta - messaggeri celesti, forse - ma in realtà eco profonda e definitiva della nostra coscienza assopita.
Malala rimane una ragazza, una sedicenne, e in ciò sta la sua magnificenza e il suo splendore. Si erge davanti a noi, sicura ma non superba, totalmente aperta e perciò umanissima: immersa così a fondo nella sua umanità da travalicarla. L'eroismo non la pone in un'altra dimensione, è la rappresentazione plastica della nostra forza interiore.
Chiedo perdono a Malala per tutte le volte che non ho saputo valorizzare appieno i miei doni a causa dell'odio e del rancore. E non importa nulla fossero razionalmente motivati: non esiste giustificazione per il sale che diviene scipito. Sì, perdono. Per le volte che, coi fatti se non con le parole, a dispetto delle tante parole, ho umiliato la mia femminilità, considerandola un limite, un inciampo, un handicap e non un dono di Dio.
Solo una ragazzina può arrivare a invocare il diritto alla conoscenza per tutti, compresi i figli e le figlie dei talebani. Io non ne avrei mai avuto il coraggio. Avrei invece voluto vederli morti, quei maschi spaventosi e belluini, che sono solo l'espressione più plateale d'una guerra millenaria e feroce, l'ingiustizia più esecrabile dai primordi dell'umanità: quella dell'uomo contro la donna. A ogni latitudine e cultura.
Li avrei voluti morti come vorrei morto qualsiasi maschio stupri o deformi l'anima di una donna. Gli aguzzini giustificati magari per la giovane età, mentre la vittima rimane sola e irrisa. Come nell'atroce vicenda di Montalto di Castro.
Ma la morte non è mai la soluzione. Dopo la morte c'è solo silenzio. Malala ha avuto parole d'amore. Di un amore però vero, quindi non arrendevole, non giustificatorio, privo di sconti. L'amore è anzi esigente. Ci si riappropria dell'umanità defraudata non diventando a nostra volta belve senza ragione, ma indicando una via altra. Via rischiosa, pericolosa come quello sguardo diretto e snudante, che la durezza di cuore può giungere a cancellare pur di non mettersi in discussione. Ma unica via per progredire. Perdere la vita per ritrovarla. E non cancellare quella altrui, pur se rimasta ancora a livello di semplice e brutale esistenza.
Per questa trasfigurazione restituente ringrazio e chiedo scusa a Malala e a tutte le ragazze e ragazzi a me affidati. Non hanno che noi per crescere. E noi non abbiamo che loro per affidare il nostro breve futuro, e la più ampia storia umana, in un corale cammino verso la terra promessa. Cioè questa, il cuore accogliente e generoso. Il miracolo siamo noi.

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