Gavino Ledda : no all’uomo padrone «I matrimoni non durano per sempre, anche Papa Francesco cambi le regole»


Quando il tuo amore non produce amore reciproco e attraverso la sua manifestazione di vita, di uomo che ama, non fa di te un uomo amato, il tuo amore è impotente, è una sventura.
                                                     Karl Marx


riprendendo  l'argomento femminicidio e sul  veregognoso \  turpe  violenza  sulle donne   già trattato  precedentemente  su  questo blog  (I II )    riporto qui   sotto questa interessantissima  provocazione   dello  scrittore  sardo   Gavino Ledda ( foto sotto   a destra  )   sul rapporto  femminicidio religione   fonte di Pier Giorgio Pinna   dalla nuova sardegna del  12\5\2013


INVIATO A SILIGO. «I femminicidi si stanno trasformando in fenomeno terribile, sconvolgente. E allora io, l’autore di Padre padrone, dico un no deciso alla violenza. Basta con le donne usate e distrutte come cose. Basta con chi, pensando solo adavere e mai a essere, giudica le persone come una sua proprietà privata. Basta con matrimoni destinati a durare per sempre. Basta divinizzare sa proprietà de sa femmina». Gavino Ledda è sofferente per una lieve indisposizione. Ma dalla sua casa di Siligo coglie con estrema lucidità le degenerazioni di una società malata.
E per meglio spiegare il proprio pensiero parte da lontano. Come sempre con immagini visionarie: «Non uccidere: così dice il quinto comandamento. Già migliaia di anni prima di Mosé il padre padrone, cacciatore e predatore, esercitava il suo potere con la forza. Ma erano i primordi dell’umanità. Adesso la mente deve avere il sopravvento sui muscoli. Così capisco quel che succede oggi solo ricordando quanto sia stato incompreso Gesù quando predicava il perdono. Ed ecco, riflettendo sull’appello ad amare il prossimo come se stessi, dobbiamo tutti pensare di essere senza il bisogno di possedere. Queste stragi che partono dall’idea che le donne debbano appartenere a un padrone devono cessare, sono dissennate».
«Ritenere che l’impegno preso dai cristiani a non separare ciò che il Signore ha unito non rende gli uomini simili a Dio – incalza Ledda – Solo il dieci per cento di ciò che Cristo ha detto, appena la sommità di un iceberg, è stato recepito dagli apostoli. Ed è perciò che adesso mi rivolgo alle istituzioni e al vicario di Pietro, nella sua umana santità, perché tutti comincino a pensare di cambiare le regole. È stata l’esperienza a diretto contatto con la natura fatta in tanti anni fin da giovane a mostrarmi quanto sia sbagliato pensare che le donne, i bambini, la famiglia siano proprietà esclusive del padre».
Una breve interruzione per un sorso di caffè nella cucina della casa con il portone d’ingresso circondato da un arco sovrastato dalla testa di montone in trachite rosa. Poi, lo scrittore riprende: «È da cristiano che lancio il mio appello: si rifletta a fondo sulle conseguenze che derivano da un altro comandamento, il nono: non desiderare la donna d’altri. Ecco il punto da tenere presente con estrema attenzione: Mosè, nonostante la grandezza di conduttore scelto da Dio, ha messo il piede in fallo. Del resto, erano tutti uomini e potevano sbagliare». «Ma dare quest’imperativo dopo aver prima ammonito a non desiderare la roba d’altri fa credere ai deboli di spirito, agli uomini più fragili, che la donna sia un oggetto – osserva – E così oggi, con un metodo di revisione galileiano, bisogna assolutamente superare questo concetto errato di proprietà applicato non alle cose ma agli essere viventi».
«Io d’altronde l’avevo capito fin dal mio incontro-scontro col padre padrone, una lunga esperienza che mi è servito da collaudo umano»,prosegue il narratore di Siligo.
«Mio padre infatti non ha mai alzato una mano su mia madre: sapeva che noi figli l’avremmo difesa e lui le avrebbe prese», spiega. «Ma nell’ovile, quando facevo il pastore con lui, mi ha picchiato spesso – racconta Gavino Ledda – Sino a 24 anni, sinché ho deciso di andare via di casa. Quel giorno lui ha cercato di colpirmi ancora una volta. Ma io l’ho bloccato e l’ho spinto verso il muro immobilizzandolo. Davanti a tutti i familiari, allora mi ha provocato: “E dai ischude, picchia”, mi ha detto sfidandomi. Ma non sono cascato nella trappola: “Vedi che si può discutere senza ricorrere alla forza”, ho replicato. Ed è stata la mia vittoria, la vittoria di tutti quelli che rifiutano la violenza. Mi ha salvato la grazia di Dio, una scintilla arrivata dal cielo. È stata la giornata più bella della mia vita. Anzi, io quel giorno sono rinato».

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