“Non buttate quando si rompe” ecco la scuola aggiustatutto Dal computer all’elettrodomestico, quei club del ripara-da-te

 facendo la  raccolta differenziata della carta  ho trovato questo articolo di  giornale   più precisamente   di repubblica  del 9\4\2013   che in tempo di crisi  può essere  utilissimo  . Sia  a  chi pratica per  hobby  o per  principio (  a me  che  sono nato nella  generazione di mezzo  cioè  metà anni '70 hanno insegnato che non si buttano le  cose    senza prima provare   a ripararle \  aggiustarle     ) pratica  questa   scelta  di vita

  repubblica  del 9\4\2013


DAL NOSTRO INVIATO   ROSALBA CASTELLETTI
LONDRA

BOLLITORE rotto?  
Computer lento? Non 
c’è bisogno di precipitarsi 
in negozio per rimpiazzarlo 
con l’ultimo modello. In 
tempi di crisi economica ed 
ecologica, il motto è «riparalo,
non disperare». E «Repair,
don’t despair» è per l’appunto

lo slogan adottato da due 
trentenni.
UGO Vallauri e Janet  Gunter, questi i loro  nomi, l’anno scorso hanno dato vita al “Restart Project”. Sulle orme dei “Repair Café” di Amsterdam o dei “Fixers Collective” di Brooklyn, organizzano nella  capitale britannica dei “Restart Party”: workshop mensili itineranti dove si impara gratuitamente a  riparare il proprio gadget elettronico o elettrodomestico rotto.
C’è chi arriva lamentandosi  della lentezza del proprio portatile per poi scoprire che basta aumentarne la memoria o chi si presenta con un rasoio elettrico malfunzionante e, con l’aiuto dei volontari e di qualche tutorial pescato su Internet, riesce a farlo operare nuovamente. Con un po’ di pazienza e di fortuna,alla fine si trova una soluzione all’80 % dei problemi.
«L’idea — spiega  Vallauri, trapiantato a Londra da Bra — mi è venuta dopo la mia collaborazione in Africa con la organizzazione non governativa britannica Computer Aid. In  Kenya ho imparato approcci meno spreconi dei nostri. Lì non ci si sbarazza facilmente di  qualcosa che può essere riparato.
Si aggiusta tutto.  Mentre noi spesso compriamo oggetti non dettati dalla necessità, ma dalla pigrizia e dalla  mancanza delle conoscenze  necessarie  per la manutenzione di  quelli che abbiamo già. Il nostro  obiettivo non è offrire  delle riparazioni gratuite, ma  sconfiggere l’obsolescenza programmata e recuperare la  manualità in una società esasperata  dal consumismo ».
Il primo Restart Party si è tenuto lo scorso giugno ed è stato  subito un successo. «Sin  dall’inizio abbiamo raccolto  l’interesse — continua Vallauri  — non solo di chi spesso  è frustrato dalla macchinosa  e scoraggiante burocrazia delle garanzie previste dalle aziende produttrici, ma anche di chi vuole mettere la propria manualità e il proprio saper fare al servizio degli altri ». E il prossimo passo dell’organizzazione  sarà proprio creare sul sito therestartproject.com una rete che metta  in contatto chi cerca servizi  con chi li offre: appassionati  di riparazioni, sviluppatori di software, etc.
Complice la crisi economica,la cultura della riparazione sta soppiantando quella dell’usa e getta anche Oltremanica.
In Olanda gli antesignani Repair Cafe sono oramai una trentina e hanno persino ricevuto una sovvenzione  governativa di quasi mezzo  milione di euro.
Gli australiani imparano a recuperare i loro gioielli agli  incontri mensili organizzati  da “The Tresaury” a Melbourne o ad aggiustare e reinventare  i loro oggetti al Bower  Reuse and Repair Centre di  Sidney. Mentre a New York i  Fixers  collective si incontrano  una volta a mese. Anche in Italia, dove ogni  anno vengono prodotti un  milione e mezzo di tonnellate di rifiuti elettronici, non mancano iniziative simili. Come  la PcOfficina che organizza  incontri settimanali a Milano dove, sul modello della ciclofficina,
si riparano computer  tra una birra e una chiacchiera. O come l’Oratorio digitale  lanciato dall’associazione Ohibò che  insegna ai ragazzi sopra gli 11 anni ad allungare la vita del cellulare o del lettore mp3 che già possiedono invece di inseguire le pubblicità dell’ultimo modello. La riparazione insomma è diventata un vero e proprio movimento.
Perché fa bene all’ambiente e al portafoglio.

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