Carmela Frassanito suicida a 13 anni dopo uno stupro ancora nessuna giustizia



Carmela Frassanito aveva solo 13 anni domenica 15 aprile 2007, quando si suicidò gettandosi dal balcone al settimo piano di un palazzone a Taranto. Un suicidio per la disperazione, perché non poteva più sopportare quello che le era successo. Una morte per lo stupro, a 13 anni, perché nessuno ti crede, perché c’è chi preferisce imbottirti di farmaci piuttosto che aiutarti. A cinque anni di distanza il padre, Alfonso Frassanito, ha deciso di rompere il muro del silenzio, di raccontare l’agonia della figlia, il dolore della famiglia e la lotta per la giustizia che, ancora oggi, vede i mostri responsabili di quello stupro in attesa del primo grado di giudizio in tribunale.A differenza di tante storie di violenza nei confronti di anime innocenti che hanno trovato gli “onori” della cronaca, quella di Carmela Frassinato è caduta nell’oblio. Diventa difficile capire come una storia come quella della piccola Carmela, stuprata dal branco, a soli 13 anni, possa essere dimenticata.Invece è quello che è avvenuto: non solo il processo a carico degli stupratori è ancora in corso e, dopo cinque anni, non è neanche arrivato al primo grado di giudizio, ma i genitori non hanno visto il sostegno dello Stato, quello Stato che ha strappato loro la figlia perché venisse curata e che invece l’ha lasciata sola, a morire di disperazione.Il padre Alfonso ha scritto una lettera aperta per raccontare il dolore e la rabbia per questi anni di silenzio e ha voluto fare di più: ha fondato un’associazione in onore della figlia, IosòCarmela. Un luogo virtuale dove far sentire la propria voce e dal quale lanciare una campagna per chiedere una nuova “etica” della giustizia”.Un nuovo disegno di legge per l’inasprimento sostanziale e la certezza della pena per i reati di violenza sessuale e pedofilia, perché quello che è successo a Carmela non succeda più e altre famiglie non debbano provare la frustrazione e il male che stanno vivendo.La tredicenne di Taranto diventa l’emblema di una situazione che in Italia vede le donne e i minori vittime silenziose della violenza, e non solo quella dei mostri che violentano ma anche da parte delle istituzioni che dovrebbero aiutare.
La storia di Carmela Frassinato
La storia di Carmela è costellata di episodi dolorosi: rimasta orfana di padre a solo un anno, trova nel secondo marito della madre, Alfonso Frassanito, quel padre amorevole e dolce che serve a ogni bambino. La sua vita cambia drasticamente a cavallo del 2006 e del 2007 quando la piccola racconta le violenze subite da un giovane sottufficiale della Marina in servizio a Taranto.
Scatta la denuncia alla Polizia ma non ci sono elementi per avviare un procedimento penale nei confronti dell’uomo che pur aveva ammesso di averla incontrata, per poi ritrattare negli interrogatori.Eppure lo vedevamo davanti alla scuola media Frascolla, sempre accanto a ragazzini. Continuava a passare sotto casa nostra, per noi era una provocazione. In città era conosciuto come ‘il pedofilo di San Vito‘”, racconta il padre.Si innesca così un percorso che vede Carmela diventare la “ragazzina che si inventa le cose” quella che ci sta, una poco di buono, fino alla tremenda violenza di gruppo. Il 9 novembre Carmela esce di casa dopo aver ricevuto un rimprovero da parte dei genitori: una situazione che dovrebbe risolversi con una ramanzina e magari un “castigo”, ma per lei cambia tutto.In quei momenti incontra i suoi aguzzini. Viene drogata con anfetamine e violentata più volte, in diversi luoghi, dal branco: ad abusare di lei, come dirà al pm Enzo Petrocelli, sono in otto, 5 all’epoca minorenni e 3 appena maggiorenni. La piccola vaga per quattro giorni per Taranto, dal centro città fino ai sobborghi: sono i genitori, disperati, a ritrovarla, in condizioni orribili.Di nuovo la denuncia e questa volta i responsabili dello stupro vengono identificati e indagati per violenza sessuale, ma l’iter della giustizia è lento, lentissimo.Carmela da quel giorno non si è più ripresa: dopo le violenze intervengono i servizi sociali per aiutare la ragazzina vittima di una violenza assurda.Si fanno i colloqui con i genitori e con lei e la famiglia viene convinta a fidarsi delle istituzioni: Carmela sarebbe stata seguita da medici e psicologici che l’avrebbero supportata in quella terribile fase. Viene così deciso il trasferimento di Carmela al Centro “Aurora” di Lecce che si occupa di minori vittime di abusi e violenze in famiglia.Alfonso e la moglie però non possono incontrare liberamente la figlia, solo una volta al mese, con incontri videoregistrati: anche così Carmela appare sempre più distrutta, lontana dal mondo, chiusa nel dolore e spesso intontita. Lei non vuole stare lontano dai suoi genitori, ha bisogno di loro, ma i medici rassicurano che è tutto sotto controllo.Solo dopo avremmo scoperto che in realtà la bambina era stata sottoposta a una cura di psicofarmaci. Che da quel posto era scappata due volte“, dice Alfonso.Tre mesi dopo arriva il trasferimento in un altro centro per minori, “Il Sipario” di Gravina di Puglia: le cose sembrano migliorare e i medici confermano che la piccola è stata sottoposta a una cura di psicofarmaci per cui è necessario diminuire le dosi col tempo.Nel fine settimana Carmela torna a casa dove i genitori la accudiscono, dandole anche i farmaci. Fino a quella maledetta domenica: va in bagno per quello che sembra un gesto normale e invece si getta dal balcone, dal settimo piano.
Il processo agli stupratori
Oggi i suoi aguzzini sono ancora in attesa del primo grado di giudizio e nessuno di loro ha scontato un solo giorno di carcere. Il padre però chiede anche giustizia nei confronti di quelle istituzioni che hanno permesso agli stupratori di essere ancora a piede libero, con un’udienza fissata ogni sei mesi per i maggiorenni.Per i minorenni rei confessi, il giudice del tribunale dei minorenni di Taranto Laura Picaro stabilì nelle prime fasi del processo che fossero meritevoli della “messa in prova”. Per 18 mesi sono messi sotto osservazione: seguiranno un programma di rieducazione e offriranno assistenza agli anziani. Se faranno i bravi il dibattimento verrà cancellato.Nel corso del processo un avvocato difensore arrivò anche a definire Carmela “quella che ci stava”, come a voler giustificare lo scempio del suo assistito.Per questo Alfonso Frassanito ha deciso di rompere il muro del silenzio. “Perché anche Carmela é stata una figlia. Non solo Sarah“, scrive, riferendosi alla vicenda di Sarah Scazzi, la 15enne uccisa ad Avetrana per il cui processo nello stesso tribunale a Taranto ci sono le luci di tutti i media. “Tutti i bambini hanno diritto alla loro vita, ad avere giustizia, sempre e comunque, non solo quando la città si trasforma in una piccola Hollywood per via del circo mediatico, ma soprattutto macabro, che si attiva solo quando si possono sfruttare gli aspetti morbosi di vicende a sfondo sessuale o da thriller“. Anche Carmela merita giustizia. Come tutte le vittime.

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