Il flop dei farmaci no-logo “Sconti e incentivi inutili gli italiani vogliono le griffe”


Logico  che  anche una delle  riforme  più innovative   può sembrare  un fallimento  quando  alla paura  di cambiare , del nuovo  , s'aggiunge  anche  quella  d'andare oltre le proprie abitudini e  di cambiare  .Quindi caro ministro  non demorda  deve fare  la stessa cosa   che  dovrebbe  fare Michelle  Obama per la sua riforma sanitaria  


da repubblica DOMENICA, 14 OTTOBRE 2012
Pagina 23 - CRONACA
MICHELE BOCCI 



ROMA

IL  2012 doveva essere l’anno dei generici per l’Italia. Dopo il provvedimento del ministero della Salute che il giorno di Ferragosto ha imposto ai medici di scrivere il principio attivo del farmaco sulla ricetta ci si aspettava un’impennata delle vendite. E invece adesso, a due mesi da quella legge, c’è chi parla di flop. Lo fa Giorgio Foresti, presidente di Assogenerici: «Le vendite non vanno, gli italiani non li comprano». Le confezioni vendute dei cosiddetti equivalenti sono passate da 5 milioni e 120mila
di media mensile a giugno-luglio a 5 milioni e 480 mila di settembre. L’aumento è del 6,9 per cento. Visto che nel nostro paese i generici rappresentavano prima dell’estate circa il 17 per cento del totale dei medicinali venduti in farmacia, ad oggi siamo saliti più o meno al 18 per cento del mercato. Siamo cioè distantissimi dalla media europea, che è del 55 per cento con punte del 65 per cento in Germania e dell’85 per cento nel Regno Unito. «Tra l’altro — dice sempre Foresti — i dati ci raccontano di una buona partenza a fine agosto e di un lieve calo alla fine del mese scorso».
Perché i generici non stanno vendendo quanto ci si aspettava? Intanto il provvedimento del ministro Balduzzi prevede che i medici possano continuare a prescrivere il farmaco di marca a brevetto scaduto ai pazienti cronici che lo usavano, o se motivano in ricetta la loro scelta. Inizialmente poi la nuova legge aveva fatto polemizzare i medici di famiglia e non è escluso che qualcuno continui a segnare il prodotto con il “brand” per protesta. C’è poi il ruolo dei pazienti. In molti continuano a preferire i farmaci di marca e li chiedono al farmacista, cosa permessa dalla legge. C’è ad esempio tra gli anziani chi prende più medicinali al giorno e non se la sente di farsi consegnare pillole
di forma e colore diverso rispetto a quelle a cui è abituato. Ha paura di fare confusione. Così paga la differenza tra la cifra rimborsata dallo Stato, che equivale al prezzo del generico, e il costo del farmaco di marca.
dall'articolo  tramite cattura  schermata
Chi produce gli equivalenti vede grigio, mentre le aziende farmaceutiche dei medicinali “griffati” dicono di vedere nero. «Il provvedimento ci ha messo in crisi», spiega il presidente di Farmindustria Massimo Scaccabarozzi. Ma se i generici vendono circa il 7 per cento in più, in realtà hanno solo un quarto del mercato dei medicinali a brevetto scaduto. I brand ne hanno tre quarti e il loro calo dovrebbe attestarsi quindi intorno al 2-3 per cento. Cioè essere molto ridotto. «I dati mostrano che per alcune classi di medicinali come gli antibiotici — precisa Scaccabarozzi — ci sono cali molto più accentuati. Abbiamo poi singoli prodotti che, ci segnalano le aziende, che scendono anche del 30-40 per cento». Gli antibiotici di marca, per esempio, sono passati, tra giugno-luglio e settembre, dal 76 al 64 per cento del mercato. Hanno tenuto gli anti-ulcera, passati da 54 a 51 per cento. «Non siamo contrari ai generici — prosegue il presidente di Farmindustria — ma già prima di questo provvedimento il cittadino poteva
sceglierli in farmacia. Oltre a questa legge, che ci penalizza, in sei mesi il nostro settore ha subito tre manovre, come quella sull’abbassamento dei tetti di spesa, che ci mettono in difficoltà gravissime. Ci saranno 10-15 mila licenziamenti in due-tre anni». Menarini, una delle multinazionali italiane, nei giorni scorsi ha detto che per colpa del generico licenzierà 1.000 dipendenti in Italia su oltre 3 mila. «Non è vero che stanno perdendo tantissimo con i generici — contesta Foresti — In tutta Europa, e già anni fa, c’è stato il fenomeno dell’introduzione degli equivalenti e nessuna azienda ha chiuso. Semmai è un problema di politiche industriali. Si sa che i brevetti scadono dopo 25 anni e che quando questo avviene le aziende guadagnano meno. Se ci si prepara a quell’appuntamento puntando su ricerca e sviluppo si ha modo di mettere in commercio prodotti nuovi: chi investe in innovazione si salva dalla crisi».

E' un bel problema . Infatti  sempre  da repubblica   c'è  l'intervista  a Giovanni Siri, psicologo dei consumi   che   afferma “Chi è malato fa meno sacrifici se spende di più pensa di guarire” 



ROMA
da http://www.fondazionezoe.it/code/10972
 «Quando ci si ammala si pensa che spendendo si possa guarire prima, per questo i generici non funzionano». Così Giovanni Siri  (  foto  a destra  ) , professore ordinario di psicologia dei consumi all’Università Vita-Salute San Raffaele, spiega la preferenza per i farmaci di marca.
«Le persone sanno benissimo cosa sono i generici e sono consapevoli del fatto che hanno gli stessi effetti. Però quando si ammalano scatta qualcosa, pensano che spendere, e dunque sacrificarsi di più, sia un modo per stare meglio prima. Pensano di darsi maggiori attenzioni».
Perché tanti li chiedono, anche se sono più cari?
sono  Preferiti perché riconoscibili ed esposti con la pubblicità: così si ritiene che non possano giocare scherzi
Anche se gli studi dicono che i generici sono identici agli altri?
«Certo, ma non dobbiamo sottovalutare il significato della marca. E parlo di tutti i settori merceologici. Alle persone piace perché è riconoscibile, perché fa pubblicità, quindi si espone. Pensano che non gli possa giocare brutti scherzi perché altrimenti ne pagherebbe le conseguenze più degli altri».
Per i cittadini i farmaci sono quindi come gli altri prodotti?
«Sì, c’è anche maggiore attenzione al nome di chi li produce, perché non si tratta di biscotti: i medicinali li prendiamo nel momento in cui siamo sofferenti».
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Preferiti perché riconoscibili ed esposti con la pubblicità: così si ritiene che non possano giocare scherzi

Giovanni Siri, psicologo dei consumi 











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