Via d'Amelio 19 luglio 1992-19 luglio 2012 [c'era una volta 1992-1994 puntata VII] + intervista esclusiva ad uno dei pochi giornalisti che non credono alla trattiva tra stato e mafia Enrico tagliaferro


Da oggi  16  luglio   inizia  il rituale celebrativo per il 20° anniversario di Via d'Amelio . Strage \attentato di stampo terroristico-mafioso messo in atto il pomeriggio del 19 luglio 1992 a Palermo in cui persero la vita il giudice antimafia Paolo Borsellino e la sua scorta. L'agguato segue di due mesi la strage di Capaci, in cui fu ucciso il giudice Giovanni Falcone, segnando uno dei momenti più tragici nella lotta alla mafia Da quei pochi ricordi diretti , viste che non vidi subito in diretta come quelle per capaci ( vedere miei post del 22 e 23 maggio che potete trovare qui ) ero a raccogliere  bacche  di mirto per  farne  talee  con mio padre  e mio fratello  .  
foto ansa
Dai quei pochi ricordi dell'epoca, aveva  16 anni,fu  un attentato di stampo 
terroristico-mafioso messo in atto il pomeriggio del 19 luglio 1992 a Palermo in cui persero la vita il giudice antimafia Paolo Borsellino e la sua scorta :   1)  Agostino Catalano il  capo scorta  ., 2)  Emanuela Loi prima donna a far parte di una scorta e a cadere in servizio, Vincenzo Li Muli,Walter Eddie Cosina ed infine  Claudio Traina.
L'unico sopravvissuto   fu  Antonino Vullo, risvegliatosi in ospedale dopo l'esplosione, in gravi condizioni. L'attentato segue di due mesi la strage di Capaci, in cui fu ucciso il giudice Giovanni Falcone, segnando uno dei momenti più tragici nella lotta alla mafia.
Essi sono ricordi  basati  su immagini tv (  vedere  video sotto  )  che vedemmo appena   rientrammo a  casa  di nonna  materna   


                       film e  documentari sull'eccidio 





 L'esplosione, avvene in via Mariano D'Amelio dove viveva la madre di Borsellino e dalla quale il giudice quella domenica si era recato in visita, avvenne per mezzo di una Fiat 126 contenente circa 100 chilogrammi di tritolo sui  dubbi espressi   da  gli agenti di scorta, via d'Amelio era una strada pericolosa, tanto che era stato chiesto di procedere preventivamente ad una rimozione dei veicoli parcheggiati davanti alla casa, richiesta però non accolta dal comune di Palermo, come rilasciato in una intervista alla RAI da Antonino Caponnetto.
Fin qui i   ricordi misti .
Questo    fino a  che   s'inizio  a parlare  della trattiva  tra mafia e stato  che  appresi da trasmessi  come Blu notte di Lucarelli e  siti  come  http://www.misteriditalia.it  . Ora  inizialmente  c'era lo stesso proposito   , per  chiarire e  chiarirmi  meglio  alcuni  aspetti   della trattativa  (  verità assoluta ed indiscutibile secondo alcuni  ,  verità  con critica  come il  sottoscritto  , presunta   secondo alcuni  , inesistente o bufala  secondo altri  ) ,  dei post  su  capaci   cioè  il non parlare   del contrastato argomento  ,  e lasciare parlare solo  i ricordi diretti o indiretti che fossero  . Ma  visti  i classici fiumi  d'inchiostro  e  di bit   e tutta  una serie  d'articoli  trasmissioni  ,tv  , dvd  , libri ,ecc   a senso  unico  cioè pro trattativa  , i  miei dubbi  su quello che  gli stessi fautori  d'essa definisco  basilare    cioè il pappello  di  Vito Ciancimino   e le  dichiarazioni  del figlio  Massimo Ciancimino    , ed [  SIC  ] il svincolare  ( come il  caso  di  Adriana  stazio delle agende  rosse )  o  il non rispondere ( motivi di salute o paura  d'essere messi in discussione   , Salvatore  Borsellino spazio facebook  e email al sito http://www.19luglio1992.com/.  
Il mio  intento  era intervistare   sia  i Trattatisti  (   sono sempre  a  disposizione per  repliche  ed eventuali richieste di rettifiche    che  questo post   dovesse potare  )  sia  gli anti  o i dubbiosi \ negazionisti   . Ora  Sono riuscito  nel secondo ,  intervistando  via  facebook  il maggiore  dei rappresentati  Enrico Tagliaferro , riprendendo le  domande (  qui il testo originale  )  fatte dall'amica Antonella Serafini  (  di www.censurati .it )  al d Antonio Ingroia  ovviamente  modificandole per  renderle  più comprensibili  a  chi non legge i giornali ( se  non quelli sportivi  )  o  vede  solo programmi demenziali  ,  insomma  agli analfabeti di  ritorno  
Egli  è un blogger noto sul web come “il Segugio” ( indirizzo del blog: http://segugio.daonews.com/ ), autore nel 2010 di un libro autoprodotto dal titolo “Prego, dottore!”, acquisito agli atti del processo “Mori-Obinu”, a Palermo, in quanto latore di argomenti piuttosto convincenti in relazione alla dubbia autenticità di alcune carte prodotte dal teste Massimo Ciancimino, in un periodo in cui lo stesso Ciancimino era considerato un’icona dell’antimafia non essendo ancora incappato nel malaugurato incidente che gli costò l’arresto con un’accusa di calunnia per la falsificazione di un documento.
Tagliaferro in questi ultimi anni insieme ad altri blogger giornalisti come Antonella Serafini (censurati.it) o Anna Germoni, ha seguito le vicende siciliane che hanno visto i Reparti Operativi Speciali dei carabinieri al centro di accuse molto gravi, studiando scrupolosamente le carte e le testimonianze, e proponendo quindi un’analisi critica del lavoro della magistratura che ha sollevato nei suoi lettori, come pare, più di un dubbio in relazione alle ipotesi accusatorie formulate a carico di uomini come il capitano Ultimo (Sergio De Caprio) e il generale Mori.
Tagliaferro in particolare, con le sue documentate inchieste, ha acceso i riflettori su indizi di dubbia autenticità e su testimonianze incongrue, in relazione a questa triste storia.
Purtroppo il nostro sistema dell’informazione da ben poco spazio a chi non si accoda alle “verità” ufficiali.

Abbiamo così deciso di proporgli alcune domande.



1) Con riferimento alla perquisizione del febbraio 2005 della casa all’Addaura di Massimo Ciancimino, tu non vedi forse un’incongruenza fra quanto riferito dal testimone a proposito della cassaforte “volontariamente non perquisita” dai carabinieri, ed il fatto che vi sia stata una contestuale perquisizione, da parte degli stessi carabinieri, di un magazzino, persino facoltativa in quanto non disposta nel mandato del magistrato, in cui venne repertato il famoso pizzino strappato, meglio noto come “lettera di Provenzano a Berlusconi”, oltre che a copiosa documentazione manoscritta di don Vito? E come si conciliano le due versioni date dal teste, una in cui Ciancimino per telefono dalla Francia suggerisce al suo impiegato di consegnare ai carabinieri la chiave della cassaforte, e l’altra in cui dice di aver parlato con il suo dipendente solo “a perquisizione avvenuta”?
Tu hai già posto l’accento, nella tua domanda, su alcune visibili incongruenze. Ma ce ne sono molte altre, su quel fatto. Massimo Ciancimino dapprima racconta che i carabinieri, durante quella perquisizione nel 2005, rinunciarono ad aprire la sua cassaforte, nonostante questa contenesse il preziosissimo “papello”, quello poi da lui consegnato in fotocopia e che oggi noi conosciamo. Successivamente uno dei carabinieri che parteciparono alla perquisizione, affermò invece in aula che un suo collega ritrovò il papello nascosto in una controsoffittatura, se lo portò in copisteria per fotocopiarselo (ma senza porre la fotocopia agli atti del sequestro), e quindi lo ripose nuovamente dove l’aveva trovato.
Tutte queste narrazioni possono lasciare, in chi le recepisce, perplessità, e come un senso di sconcerto, di mistero. Io invece credo che tutto diventi più chiaro e meno misterioso, se si guarda sotto un’altra luce, vale a dire tenendo in considerazione in primis che il “papello” di Ciancimino, già rinviato a giudizio per aver falsificato, reo confesso, un altro documento, contiene un evidente anacronismo, tale da indurre a dubitare anche di quella fotocopia, e che il secondo testimone è un carabiniere non proprio dei primi della classe, già condannato in primo grado per falso materiale, avendo falsificato la firma del suo comandante in calce ad una dichiarazione scritta, ed essendo quindi fisiologicamente ostile verso i propri comandi dell’epoca.
Ci troviamo quindi di fronte ad incongruenze o fatti sconcertanti scaturiti dalle testimonianze di due probabili falsari. Tenendo in conto questo, forse tutto quadra meglio, e si spiegano le incongruenze.

 2 ) Parliamo della trattativa fra lo stato e la mafia. Secondo la teoria dei magistrati, questa avrebbe avuto origine da un contatto, realizzato a questo scopo, fra i carabinieri del ROS e don Vito Ciancimino. Ti pare forse un’iniziativa logica, quella di impiegare due ufficiali dei carabinieri, già distintisi per un’attività senza tregua contro la criminalità e per aver arrestato molti pericolosi latitanti, come ad esempio Ciccio Madonìa, e proprio in quel momento concentrati in un’inchiesta sulla mafia e sugli appalti in Sicilia, come emissari della “trattativa”, quando era disponibile, ad esempio, il famoso “signor Franco” il quale, a sentire le testimonianze, era un rappresentante delle istituzioni che nel contempo aveva contatti molto più diretti dei carabinieri con Cosa Nostra?

Le istituzioni con cui Cosa Nostra avrebbe dovuto trattare, erano forse rappresentate dai due carabinieri, Mori e De Donno, e da loro soltanto?
L’idea di un’iniziativa del “signor Franco” intesa come migliore e più logica opportunità, per intavolare una trattativa fra lo stato e la mafia, rispetto a quella assunta da due nemici giurati (non solo metaforicamente) dell’organizzazione criminale, quali erano Mori e De Donno, è logicamente sostenibile di per se stessa,  ma irrealistica e non ipotizzabile, in quanto non solo il sottoscritto, ma anche, ad esempio, i magistrati di Caltanissetta dubitano che questo sig. Franco possa configurarsi veramente come un’entità appartenente al mondo reale. Comunque, pur prescindendo  da ogni termine di paragone,anche in senso assoluto mi pare evidente che se veramente qualcuno nello Stato, volendo piegarsi ad una trattativa di natura “concessoria” con Cosa Nostra, avesse deciso di affidare, anziché a qualcuno dei molti “contatti” possibili con la mafia (magari selezionato nell’ambito delle molte contiguità e collusioni che certamente esistevano), l’incarico a due segugi da caccia grossa, capaci di mille trucchi pur di catturare la preda, quali erano Mori e De Donno, e conosciuti dai mafiosi come tali, beh… non mi pare che potrebbe considerarsi una brillante idea, se questa fosse riferita ad un fatto vero. Infatti io sono convinto che le cose non stiano a quel modo. Cosa Nostra sapeva benissimo che il Generale Dalla Chiesa era stato come un padre ed un fratello, per il colonnello Mori, così come lo stesso Mori lo era stato per il maresciallo Giuliano Guazzelli, ucciso pochi mesi prima (aprile 92) dagli assassini di Cosa Nostra. Avete mai visto un assassino che, per intavolare una trattativa finalizzata ad ottenere qualche vantaggio, accetta fiducioso, quale interlocutore, il fratello oppure il padre, o comunque un compagno d’armi delle proprie vittime? E’ chiaro che non esiste al mondo un interlocutore più inopportuno ed inadatto di quello, potendo egli come obbiettivo primario, anche per ragioni personali, sempre e soltanto la cattura degli assassini.
Ma questa è soltanto una, fra le tante incongruenze di questa fantastica ricostruzione storica, quella della trattativa.



3)
Secondo te è più realistico pensare che Paolo Borsellino sia stato ucciso perchè era a conoscenza della trattativa fra lo Stato e la mafia impersonata dai carabinieri e da don Vito,  e vi si opponeva, oppure perchè minacciava di volersi occupare dell’inchiesta “mafia e appalti”, ereditandola da Falcone, e delle collusioni della mafia con il palazzo?
L’unica e sola testimonianza concreta, oculare, diretta, ed affidabile relativa ad una reazione di Paolo Borsellino alla notizia che i carabinieri del ROS stavano colloquiando con don Vito Ciancimino, è quella della dott.ssa Liliana Ferraro, che ci riferisce, senza tentennamenti, della totale assenza di qualsiasi minima ombra di turbamento da parte del magistrato nell’apprendere la circostanza. Chi, conoscendo Borsellino, non si sente di convenire tranquillamente che per il magistrato l’attività del ROS così come gli era stata descritta dalla Ferraro, non poteva che essere più che legittima e per nulla inquietante, è un ipocrita. Viceversa, in quello stesso colloquio con la Ferraro, l’argomento “serio” su cui Borsellino mirava ad avere notizie era l’inchiesta “mafia e appalti”. Soltanto quello, lo interessava. Ed altre numerose testimonianze dirette ed oculari di chi incontrò Borsellino nei suoi ultimi giorni, confermano la stessa cosa. Invece noi oggi ci troviamo di fronte ad interi apparati giudiziari, numerose associazioni operanti nel settore dell’antimafia, interi segmenti dell’informazione, e persino alcuni fra i suoi famigliari, i quali tutti si rifiutano seccamente ed in qualsiasi modo e maniera di prendere in considerazione anche solo la possibilità che il vero movente dell’omicidio di Paolo Borsellino, così come di quello di Giovanni Falcone, sia stato il più tipico, il più stringente, il più concreto  fra tutti i moventi che la criminologia classica classifica come primari per l’omicidio di un magistrato: l’annichilimento delle sue inchieste. E dire che qui i magistrati uccisi, impegnati sugli stessi fronti, erano persino due.
Il movente quindi, parrebbe solare.
Tutto questo è sconcertante, e direi, anche, deprimente.


4)L’inchiesta Mafia e Appalti è stata archiviata anche per volontà di magistrati della procura di Palermo: non ti sono mai sorte perplessità su tale archiviazione?
Un troncone dell’inchiesta è stato archiviato proprio nei giorni immediatamente successivi la morte di Paolo Borsellino, il quale, tra l’altro, aveva dimostrato grande interesse per quel dossier. Come non rimanere perplessi? Il fatto stesso che a Palermo, in concreto, una “mani pulite” come quella di Milano non ci sia mai stata, come se di tangenti ed appalti truccati in Sicilia non ve ne fosse neppure l’ombra, al contrario che in Lombardia, lascia perplessi. E’ evidente che certi livelli di impunità si possono raggiungere solo col supporto di collusioni consolidate e di azioni congiunte volte all’eliminazione fisica dei magistrati scomodi, ed ai successivi depistaggi; e non certo con improbabili “trattative”.


5)Massimo Ciancimino ha dichiarato che suo padre controllava la Procura di Palermo per mano del procuratore Giammanco. Qualcuno ha aperto un fascicolo su Giammanco per cercare un po’ di chiarezza in merito?
Francamente non saprei. Se qualcuno l’ha fatto, comunque non ve n’è notizia.

6)Passiamo ad un altro argomento “scottante”: la perquisizione del covo di Totò Riina. Puoi spiegare ai lettori come mai nel programma “Annozero”, in relazione a quella vicenda ed al processo che subirono il cap. De Caprio ed il Col. Mori, Ingroia parlò di “colpevolezza” di Ultimo, nonostante l’assoluzione, preferendo la televisione al tribunale? Aveva facoltà di ricorrere in appello e non l’ha fatto, puoi spiegarci il motivo?
Si tratta di un argomento molto complesso che non può essere affrontato in tutte le sue sfaccettature in una breve intervista. Ad ogni modo la sentenza di assoluzione di Ultimo dalle accuse formulate in merito alle circostanze conseguenti l’arresto di Totò Riina, si sofferma effettivamente, nelle motivazioni, sull’avvenuta mancanza di coordinamento fra carabinieri e procura nell’attività di sorveglianza del quartiere di Via Bernini. I magistrati ravvisarono un’infrazione del regolamento di Polizia Giudiziaria da parte di Ultimo per la carenza di informativa ai magistrati in relazione alla sua attività di sorveglianza nei giorni successivi l’arresto del boss, ritenendola però un’omissione non dolosa e comunque certamente non finalizzata a favorire la mafia. D’altro canto la corte ravvisò, parimenti, aspetti omissivi anche nel comportamento della Procura, che in quelle due settimane non organizzò alcuna attività di coordinamento con il reparto del ROS né contattò in alcun modo lo stesso Ultimo per avere aggiornamenti, fatto comunque anomalo, se proprio riteneva così importante essere informata puntualmente. E questo i giudici del processo lo scrivono chiaramente. Si tratta comunque di un dibattito sul sesso degli angeli, in quanto, al di là di tutto, il comportamento di Ultimo in quei giorni fu perfettamente razionale, mai dannoso per le indagini in corso, ed anzi prudente, e l’informare o meno la procura sullo stato della sorveglianza non avrebbe modificato minimamente il risultato delle indagini. Per questo è stato assolto. Ingroia in televisione attaccò Ultimo, parlando di sue responsabilità comunque accertate, riferendosi, in modo implicito, a questa circostanza: l’infrazione di un regolamento di polizia meramente formale e non dolosa. Ovviamente il pubblico di Annozero, milioni di ascoltatori, intese invece, in larga parte, che il PM si riferisse, con quelle parole, ad un’altra circostanza di natura “omissiva”: quella del non aver perquisito il covo. Una grave ambiguità, se si tiene conto del fatto che quel capo d’imputazione a carico di Ultimo non era inerente a quella circostanza (determinata peraltro da una decisione definitiva di Caselli), ma solo alla carenza di informativa in relazione all’interruzione della sorveglianza a partire dal giorno successivo l’arresto di Riina. Tutto questo è potuto accadere in quanto la TV di Stato ha dato voce agli antagonisti del capitano De Caprio, senza contradditorio. Anzi, impedendo all’avvocato di Ultimo, che aveva telefonato per replicare, di avere la parola. Con una televisione pubblica meno “stalinista”, probabilmente oggi non saremmo qui a porci domande su quei fatti, che invece sono chiari e trasparenti. Per quanto riguarda la spiegazione che vorresti in merito al mancato ricorso in appello da parte della Procura, non dispongo di elementi certi. Ipotizzo che questa potrebbe forse trovarsi negli atti dello stesso processo di primo grado: per l’accusa quella causa sarebbe potuta andare anche peggio, considerando che fra i documenti acquisiti c’erano persino gli indizi, non tenuti purtroppo in alcuna considerazione, di alcune probabili false testimonianze da parte di determinati testi presentati in dibattimento. Approfondendo l’analisi documentale e l’esame dei testi in Appello, chissà dove si sarebbe potuti arrivare. Insomma, molto meglio chiuderla lì.
7) Come sarebbe giusto comportarsi nei confronti di una persona che viene sentita parlare al telefono con mafiosi durante intercettazioni telefoniche? come nel caso di Ingroia che è stato intercettato a parlarecon Michele Aiello  http://www.ilfoglio.it/soloqui/8961 oppure http://www.censurati.it/2005/09/12/i-pm-personcine-perbene/
E’ stato provato da un’inchiesta specifica, che Ingroia quando aveva rapporti con Michele Aiello, non sapeva né sospettava nulla degli aspetti criminali della figura di quell’imprenditore, né dei suoi rapporti con Bernardo Provenzano, né dei suoi rapporti con il suo collaboratore della DIA Pippo Ciuro, né dei suoi rapporti con Totò Cuffaro, con la famiglia mafiosa degli Eucaliptus, con il boss Guttadauro, né del fatto che Aiello si arricchiva da anni applicando alla regione Sicilia, per le prestazioni delle sue cliniche, tariffe elevate a tutto beneficio delle tasche sue ma anche, come pare, di quelle di Provenzano: insomma, quel magistrato dell’antimafia di Palermo, già impegnato da molti anni nella sua attività di indagine e contrasto della mafia palermitana, non sapeva nulla di nulla di tutti quei mafiosi palermitani, dei loro giri di complicità, e delle loro vicende, che furono poi finalmente messe a nudo grazie soprattutto all’attività del suo collega Pignatone. Mi pare che Ingroia abbia già querelato in passato chi ha insinuato il contrario, e quindi gli crediamo. Siamo però altrettanto liberi di ritenere che al posto suo un magistrato come Paolo Borsellino, dovendo ristrutturare un appartamento, si sarebbe rivolto ad altro genere di impresa, magari ad una piccola impresa, di tipo familiare, capace ed onesta nei prezzi, anziché ad uno degli uomini più potenti della Sicilia, multimilionario e proprietario di cliniche superconvenzionate con la Regione.
Io la penso così.



6)Ci sapresti dire se, a tuo giudizio, corrisponde al vero la notizia secondo cui il papello sarebbe stato ideato da Riina, e dopo averlo scritto Riina è stato arrestato? Oppure, ci sapresti spiegare il motivo per cui Riina si ritrovò a chiedere consiglio a Ciancimino, che era molto vicino a Provenzano, la cui linea strategica non pare fosse in grande sintonia con quella dello stesso Riina?
Non amo commentare quelle che per me sono leggende messe in giro da presunti pentiti o pataccari, vorrei parlare solo di fatti riscontrati. Riina, per quello che mi consta, non è stato arrestato “dopo aver scritto il papello”, ma dopo decenni di attività mafiosa, di omicidi sanguinari, e di latitanza supportata, certamente, anche da complicità istituzionali. L’idea di uno Stato che, potendolo fare anche prima, decide di arrestare Riina, in accordo con un altro boss di Cosa Nostra più “morbido” del suo paesano,  solo quando e perchè il padrino Corleonese decide di impuntarsi su una serie di richieste irricevibili da parte dello Stato stesso, per quanto mi riguarda è pura fantapolitica.
E pure abbastanza pacchiana, roba da sparate fatte al bar.
Per rendere plausibile una simile teoria, occorrono a supporto prove d’acciaio temprato. Che qui, guarda caso, mancano completamente.


7) Vorrei parlare di un argomento particolare: il passaporto di Vito Andrea, il figlio di Massimo Ciancimino. Si è letto che questo, il normalissimo passaporto di un infante, potrebbe essere stato “procurato” da un agente dei servizi segreti, poiché in questura pare fossero state frapposte difficoltà e lungaggini al suo rilascio. Avresti qualche informazione aggiuntiva, sull’argomento?

Mi risulta che in una testimonianza resa in Procura a Palermo, Carlotta Ciancimino, moglie di Massimo, abbia riferito di un incontro a Roma con un alto funzionario di Polizia, il cui nome ritengo abbastanza prevedibile perché già coinvolto su altri fronti e suo malgrado in questa vicenda, il quale si sarebbe attivato, per l’appunto e sempre a detta della signora Carlotta, per la consegna celere di questo passaporto del figlio, quale favore reso a Massimo Ciancimino. Francamente non so in che misura tale episodio, se confermato, possa essere rappresentativo di qualche cosa. Ad ogni modo mi auguro che esso sia stato chiarito anche con l’interessato, perché gli elementi per una verifica di chiarimento, mi pare ci possano stare, sempre che sia una storia vera e verificata e non traballante, come già molte altre in questa vicenda.

8)Per quale motivo Vito Ciancimino pensò che i carabinieri gli avevano teso una trappola, facendolo arrestare, se stava trattando con loro?
Questa è una circostanza che non mi risulta riferita direttamente da Vito Ciancimino, ma “de relato” da altre persone, alle quali io, ovviamente, faccio ben attenzione a dar credito. Nei suoi scritti Vito Ciancimino dichiara sostanzialmente di ritenere che il suo arresto sia avvenuto proprio per impedirgli di collaborare con i carabinieri, che è una cosa completamente diversa. Non vedo perché avrebbe dovuto mentire nell’esprimere tale opinione, e per iscritto, se avesse davvero ritenuto di essere invece caduto in una trappola dei carabinieri. E’ invece chi sostiene che don Vito Ciancimino mentiva quando scriveva queste cose, a non parere credibile, e comunque non vi è alcuna sorta di indizio a supporto di questa, che pertanto, per quanto mi consta, rimane un’invenzione.

9)Ti sei formato forse un giudizio in merito al fatto che le parole e gli scritti di Vito Ciancimino, per i magistrati,  paiono non avere valore mentre quelle di suo figlio che racconta le cose del padre, paiono averne parecchio?
La ragione è banale: se si desse credito alle testimonianze scritte di Vito Ciancimino, anziché al narrato del figlio, crollerebbe tutto il teorema della trattativa così come oggi é stato costruito. Pertanto, non è pensabile che ciò possa avvenire. E’ curioso però che certi magistrati, com’è evidente, siano disposti a credere prontamente a qualsiasi fotocopia di scarabocchio attribuibile in qualche modo a Vito Ciancimino, quando questa può essere di supporto alla tesi della “trattativa”, mentre rigettano fermamente, come menzognero, qualsiasi documento, anche indubbiamente autentico, in cui don Vito fornisca dati in contrasto alla loro tesi. Ciò accade,ad esempio, da un lato per il cosiddetto “contropapello”, considerato una prova autentica della “trattativa” nonostante sia di fatto un assemblaggio di frasi disomogenee e spesso implausibili, e dall’altro per la nota “paradigma di collaborazione”, manoscritto originale, considerato invece, quando parla della “trattativa”, al pari di un cumulo di menzogne. Ma i documenti di don Vito, consegnati dal figlio, utili ad indiziare la “trattativa” sono sempre, guarda caso, esclusivamente fotocopie di autenticità mai provata in modo definitivo, mentre quelli di don Vito che “disturbano” la tesi della trattativa, sono certamente autentici. Tuttavia gli apparati giudiziari, di Palermo ma anche di Caltanissetta, hanno dimostrato di volere credere senz’altro ai primi, e mai ai secondi.



10) Ingroia ha dichiarato (Corte d’Assise di Caltanissetta, 12 novembre 1997) che Borsellino riteneva importante l’inchiesta “mafia e appalti”  e che partendo dagli appunti di Falcone in merito si sarebbe arrivati ai moventi delle stragi. Ora, come mai la pista di questi moventi pare completamente abbandonata, mentre tutta l’attenzione degli inquirenti risulta solo ed esclusivamente dedicata al movente rappresentato dalla “trattativa” tra Mafia e Stato?
Per quanto mi consta, non esiste una spiegazione logica, razionale e supportata da cause ben definite, a questa domanda. Pertanto non so risponderti. La domanda andrebbe quindi posta ad Ingroia.




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