è necessario un nuovo concilio di trento ? la chiesa allo sbando .



mi sa   che  quest'articolo  ha  ragione  è la stessa impressione   che  ho  avuto  anch'io ,ma  non riuscivo a trovare le parole per  dirlo . Quando questo bellissimo articolo mi  è venuto  incontro  


IL CONCILIO DI TRENTO È FINITO. DOPO 5 SECOLI
giugno 17, 2012

Corriere della Sera La Lettura 17 giugno 2012



Prospettive
II problema non sono i corvi vaticani ma il ribaltamento delle pratiche devozionali
Il Concilio di Trento è finito. Dopo 5 secoli
Non regge più il modello organizzativo centralistico e parrocchiale definito nel ’500
Ora la Chiesa rischia di diventare una confederazione di movimenti in lotta tra loro

di Marco Rizzi

. . .

Sarebbe un errore collocare le vicende rese pubbliche dai «corvi» vaticani sul ritmo breve della cronaca. Occorre misurarsi con i tempi lunghi propri della Chiesa cattolica; si assiste, infatti, all’esaurirsi del modello di chiesa elaborato dal Concilio di Trento alla metà del XVI secolo, che il Concilio Vaticano II ha cercato di aggiornare ai profondi mutamenti intercorsi nei secoli successivi.
Dottrina e disciplina erano le parole chiave del Tridentino: l’univocità dei contenuti della fede, compendiati nel catechismo emanato nel 1566 da Pio V, si accompagnava alla puntigliosa regolamentazione dell’amministrazione dei sacramenti e di ogni altro aspetto della vita religiosa, sino ad allora segnata dalla varietà delle liturgie, dei culti e delle esperienze (dai pellegrinaggi alle più diverse confraternite laicali), caratteristica dell’epoca medievale. Grazie all’obbligo di osservare in tutte le chiese il calendario e la liturgia romani (fece eccezione solo il rito ambrosiano), il fedele viveva una esperienza totalizzante dello spazio e del tempo: il suo orizzonte immediato era la parrocchia — che non a caso teneva sino alla riforma napoleonica i registri di nascita, matrimonio, morte — ma la partecipazione alla messa domenicale e ai vari periodi dell’anno (Avvento, Quaresima, Pasqua) lo inseriva in un flusso che si allargava a tutto il mondo e all’eternità.
La Curia romana era al centro di questo disegno: da corte di un sovrano territoriale si trasformò in un vero e proprio organismo di governo centrale di una realtà enorme e complessa, dotata di una burocrazia specializzata che estendeva il suo controllo sino all’ultimo dei sacerdoti. Una burocrazia che garantì alla Chiesa cattolica d’instaurare un rapporto dialettico, non subalterno né conflittuale, nella competizione con gli emergenti Stati nazionali per il controllo degli individui, al tempo stesso fedeli e sudditi.
Il modello tridentino è valso per cinque secoli, reggendo anche alla prima ondata di secolarizzazione che nel XVIII secolo seguì all’Illuminismo e alla rivoluzione francese; esso iniziò a mostrare crepe solo nel secondo dopoguerra, con la cultura di massa e la possibilità di sperimentare, accanto a quelli tradizionali, nuovi modelli di vita e di gestione del tempo. Il Vaticano II ha provato a rispondere a questa mutata situazione, conservando l’impianto tradizionale di dottrina e disciplina del culto, cercando però di accorciare la distanza tra centro e periferia, tra esperienza quotidiana del fedele e respiro eterno della fede; vanno intese in questo senso la riforma liturgica con l’uso delle lingue volgari (sempre però nell’ambito di un rito universale), l’attenuazione dell’ideologia gerarchica che aveva sin lì dominato il rapporto tra fedeli e clero (con l’universale chiamata alla santità), la stessa riforma della Curia.
L’aggiornamento si è scontrato con l’accelerazione dei processi di secolarizzazione degli ultimi cinquant’anni; con il «ritorno del sacro» di questi ultimi tempi, è così emersa una religiosità di ascendenza quasi medievale, basata sulla spontaneità e l’eccezionalità dell’esperienza religiosa, coniugata con i caratteri propri dell’epoca tecnologica. Come mostra anche il saggio di Marco Marzano Quel che resta dei cattolici (Feltrinelli), l’ordinata pratica religiosa parrocchiale si è svuotata, sostituita da pellegrinaggi, culti particolari, esperienze legate a personalità carismatiche; la catechesi settimanale è stata sostituita dal flusso ininterrotto delle radio mariane o della televisione dedicata a Padre Pio, e la reliquia del santo è stata rimpiazzata dalla foto scattata col telefonino al santuario. Giovanni Paolo II lo aveva intuito; da lui hanno preso avvio i pellegrinaggi legati alle Giornate mondiali (della famiglia o della gioventù), l’aumento delle canonizzazioni e la riduzione dei tempi richiesti (il grido «santo subito», risuonato al suo funerale, ricorda l’acclamazione popolare che portava all’elevazione agli altari in epoca pre-tridentina), la concentrazione nella sua persona di una valenza carismatica più che istituzionale. In questo quadro, si è pensato che i nuovi movimenti ecclesiali, sganciati dal tradizionale riferimento territoriale, potessero rappresentare una soluzione, rinsaldando i fedeli nella dottrina e nella disciplina, di fronte alla secolarizzazione.
In altri tempi era accaduto qualcosa del genere, basti pensare ai francescani e agli altri ordini mendicanti medievali. Tuttavia, anche se spesso in competizione tra loro, questi apportavano risorse, simboliche e materiali, al Pontefice quale vertice di una Chiesa ancora poco strutturata al centro; ora, invece, in presenza di un governo e di un Pontefice istituzionalmente forti, i movimenti sembrano piuttosto rivaleggiare per appropriarsi di tali risorse, a danno del corpo complessivo della Chiesa; esempi significativi, in ottica ancora tridentina, sono le richieste di liturgie proprie o la creazione di seminari sottratti alle diocesi. In questo modo, la deriva settaria è sempre in agguato. La stessa Curia romana, come ogni burocrazia in difficoltà nell’individuare con esattezza l’oggetto del proprio governo, tende a consumarsi in conflitti interni e a tutelare posizioni particolari, pur affermando di farlo in nome del superiore interesse del Pontefice.

La Chiesa cattolica deve quindi ripensare se stessa. Un po’ brutalmente, si potrebbe dire che può scegliere. Ridursi a una confederazione di sette, come le denominazioni evangeliche anche se su scala ben maggiore, o fare tesoro di una tradizione che l’ha percorsa dall’antichità al Medioevo: comprendere al proprio interno risposte molto diverse alle richieste poste dalla fede e dalla vita cristiana, quasi si trattasse di cerchi concentrici, accogliendole apertamente tutte, senza privilegiarne alcuna e indicando con dolcezza il percorso che dal margine più estremo conduce al cuore dell’annuncio evangelico. L’apertura di Benedetto XVI verso i divorziati, all’incontro delle famiglie a Milano, può essere letta come un passo in questa direzione.

Il Pontefice

Antonio Ghislieri (1504-1572) fu eletto Papa nel 1566 e assunse il nome di Pio V (nel ritratto qui sopra).
Nello stesso 1566 pubblicò il catechismo romano elaborato in seguito al Concilio di Trento (1545-1563)


L’inchiesta Marco Marzano «Quel che resta dei cattolici» (Feltrinelli, pp. 256, € 16)n

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