Ricordi tanti e nemmeno un rimpianto La Spoon River di Lee Faber di Matteo Tassinari




                                                      Il suonatore Jones


                                 
E' difficile, oggi più di 10 anni fa, con un blog, intrattenere qualcuno senza che questi con un occhio legga il post e con l'altro sfogli Repubblica, Wired o Vanity Fair. Mi sto rendendo conto che il linguaggio blogger è diventato esclusivamente "utilitaristico", per allacciare rapporti (o continuarli) non certo per comunicarsi facendosi architrave di altrui pensieri. Quando mi trovo al confronto con tal punto, o il non aver chiaro cosa gli altri pensino, lascio il compito a Fabrizio De André di non fregarmi in questo mio adolescente desiderio di voler parlare come i bambini che chiedono 3 perché per la stessa cosa. Un pò vecchio a zughè incora e burdèl, diceva nonna Iole. Perché la goffaggine è sempre attenta a specchiarti in vetri narcisi, chi in un modo chi nell'altro, le grame le facciamo. Per questo ridiamo e quindi, esorcizziamo anche il male 

Il bombarolo

Come la polenta con l'insalata, "L’Antologia di Spoon River" è una raccolta di epitaffi raccolti dal Mirror nel 1915 a firma di Edgar Lee Master. 244 personaggi, un intero villaggio, arti mestieri, una lucida analisi della società americana di quell’epoca. Fernanda Pivano, venuta in possesso grazie a Cesare Pavese dell’originale manoscritto inglese, lo tradusse nel 1942, cosa che piacque molto a Fabrizio "perché fu un atto che dimostrava un grande coraggio". De André inizia a lavorare su 9 poesie dell’antologia, ovvero, la Collina, Un matto, Un giudice, Un blasfemo, Un malato di cuore, Un medico, Un chimico, Un ottico e il suonatore Jones. Non traducendo, bensì, ricostruendo completamente l’opera e in alcuni casi, secondo la Pivano, superando addirittura l’originale per efficacia e profondità poetica. Nelle note di copertina la "Nanda", com'era conosciuta negli ambienti letterari, scriverà dell'autore della "Buona novella": “Fabrizio ha fatto un lavoro straordinario con l'Antologia di Spoon River di Master. Gli ha dato linfa nuova alle poesie, rendendole molto più attuali. Ha fatto un lavoro splendido. Sono molto più belle quelle di Fabrizio, che quelle di Master, ci tengo sottolinearlo”

"La canzone del Maggio"

Non c’è dubbio che sia Master che De Andrè siano due grandi poeti. Tutti e due pacifisti, tutti e due anarchici libertari e tutti e due evocatori di coloro che sono stati i sogni di molti di noi. Faber sarà sempre attuale, essendo un poeta di tale levatura che gli riesce bene scalcare i secoli. In questo, modo, con queste note, nel 1971 esce l'Lp “Non al denaro, non all’amore ne al cielo”. In mezzo ai personaggi del disco, spicca la figura del suonatore Jones, perché è l’unico ad avere un nome, perché è il suonatore e non un suonatore. Fabrizio lega chiaramente la sua storia intellettuale ed umana a quella del libero suonatore Jones, individualista che mangia per strada nelle ore sbagliate, portatore nell’Italia dei primi anni ’70, di valori non certo ben visti dal consociativismo borghese democristiano 

Anarchiaperfezionamento democratico

Riteneva che l’anarchismo fosse un perfezionamento della democrazia: “Mai avrei fatto la lotta armata, ma condividevo tutti quelli che oggi definiscono gli eccessi 68ini. Se alle manifestazioni un autonomo sgangherato, iniziava a tirare pistolettate, questo non lo condividevo sicuramente, ma condividevo la rivolta di un certo modo di amministrare la società” e conclude. “Il fatto che la rivolta non sia riuscita, forse è un bene se è vero che il grosso problema di ogni rivoluzione, i rivoluzionari finiscono di essere tali per  di ogni rivoluzione avvenuta è che una volta preso il potere, i rivoluzionari cessano d’essere tali per diventare amministratori”. Sulla base di queste considerazioni, prende forma nel 1979 anche il nuovo Lp “Storia di un impiegato” arrangiato da Nicola Piovani. Un album non felice secondo Faber, intriso d’ ideologia, Fabrizio non trova la giusta misura delle cose. E’ anima speciale la sua, senza mitizzarla, per carità, fugga da me la voglia di farne un santino, perché è sempre uguale alla prossima persona che incontrerò, ma non si chiamerà Fabrizio De Andrè. Chiuso. Tornando a Faber e non a me, la storia è quella di un impiegato che ascolta una canzone del maggio francese, una canzone di lotta. Una canzone di accusa a coloro che non hanno partecipato, che hanno avuto paura, e ricorda che ciascuno è coinvolto. E’ un disco molto complesso, quasi un presagio sulla triste vita politica degli anni ’70

"Verranno a chiederti del nostro amore"

Ma “Storia di un impiegato” contiene anche uno dei più alti esempi di canzone d’amore della storia della musica popolare italiana: “Verranno a chiederti del nostro amore”. Una lettera o comunque un monologo di un impiegato che guarda indietro e vede una storia fallimentare, conclusa con il suo ripiegamento ad una vita borghese con la sua ex compagna, piena di superfluo e agi quanto di schiavitù nascoste e indicibili. Nella sofferenza dell’impiegato, s’intuiscono parole sarcastiche molto dure, e un testo lungo al limite della prolissità. Lo stesso De Andrè comunque non sarà mai contento della riuscita di “Storia di un impiegato” e forse è l’album che più di ogni altro l’ha fatto sempre incazzare in qualche modo. Alla fine degli anni ’70 indugia spesso con la bottiglia e con la moglie Puny le cose vanno male ma senza inimicizia. Un disagio vissuto in due. Amore anche nel dirsi addio. O è troppo? Lo chiedo ai Catoni o Censori di turno, persone ben precise nella funzione delle loro qualificate discipline

Il poeta americano Edgar Lee 

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