il caso della mancata messa per Peppino impastato . [ le divisioni nell'antimafia ecco perchè la mafia vince ]


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CRONACHE
09/05/2012 - LA STORIA

Messa per Impastato,
il no della Chiesa















Il fratello di Peppino Impastato (centrale, con la polo a righe) durante una manifestazione a Cinisi

Il parroco: "I tempi non sono maturi". E il fratello accusa: terribile lasciarlo solo
anche da morto

LAURA ANELLO
CINISI (PA)
Di chi è la memoria di Peppino Impastato? A chi appartiene il testimone del ragazzo che sfotteva alla radio i boss di Cosa Nostra, che sventolava la bandiera rossa della rivoluzione sotto il loro naso, che sfidava Tano Badalamenti fin sotto casa, distante appena cento passi dalla sua?

Trentaquattro anni dopo il suo assassinio, la questione non è ancora chiusa, in questo paesone a trenta chilometri da Palermo dove - come dice il sindaco Salvatore Palazzolo «su ogni appalto pubblico che abbiamo bandito le imprese hanno pagato il pizzo alla mafia». No, le ferite sono ancora aperte, tanto che per Peppino, uomo di Democrazia Proletaria, dire messa è ancora un tabù.

«I tempi non sono maturi», ha spiegato don Pietro D’Aleo, parroco della Ecce Homo a Giovanni Impastato, impegnato in prima fila nelle manifestazioni in ricordo del fratello che per quattro giorni (grazie a un progetto della Fondazione con il Sud, in collaborazione con il Museo della ‘Ndrangheta e della Casa memoria Felicia e Peppino Impastato) hanno riempito la cittadina di dibattiti, incontri, cortei. «Noi avevamo chiesto una messa, ci ha risposto che era meglio di no», dice Giovanni.
Già, i tempi non sono maturi, tanto che la celebrazione è stata sostituita da una più laica «veglia di preghiera per la legalità e la giustizia sociale», officiata ieri sera da don Luigi Ciotti, tessitore di ponti di dialogo e pellegrino infaticabile sui luoghi della memoria.
«Non c’è alcuna polemica - dice il parroco - abbiamo
ritenuto che in una veglia si potesse dare più spazio al ricordo, alle letture, alle riflessioni». Ma in verità ancora oggi è quasi uno scandalo l’idea di commemorare quel nome sull’altare, il nome di un rosso, comunista e rivoluzionario ucciso il 9 maggio del 1978 a trent’anni. E non solo per le resistenze del mondo cattolico, che quest’anno, per la prima volta, ha abbracciato l’idea di partecipare alla commemorazione, ma per quelle interne ai «compagni».
Da una parte il fratello Giovanni con la sua «Casa memoria», secondo cui bisogna abbattere gli steccati, «perché Peppino è stato già isolato in vita, e sarebbe terribile isolarlo pure in morte»; dall’altra l’associazione Impastato guidata dall’amico Salvo Vitale, geloso custode del ricordo duro e puro.
I due già convivono da separati in casa nella palazzina che fu di don Tano Badalamenti e che adesso, come bene sequestrato alla mafia, è stato affidato dal Comune a entrambi. La messa, in questo clima, sarebbe stata una miccia sulla benzina. «Con la veglia di preghiera spiega Caterina Palazzolo, responsabile dell’azione cattolica della parrocchia e promotrice dell’iniziativa - abbiamo cercato una soluzione nel segno del dialogo. La messa sarebbe stata vista male soprattutto all’interno del mondo comunista, più che dentro la Chiesa».
Una spaccatura che si è consumata due anni fa, quando i militanti dell’associazione Impastato contestarono il sindaco arrivato per inaugurare la nuova vita della ex casa di Badalamenti, insieme con altri primi cittadini invitati per l’occasione. Inconcepibile, per i «rivoluzionari», quella sfilata di colletti bianchi.
Furono urla, insulti, finì con una denuncia ai carabinieri e con il rischio che il Comune facesse marcia indietro sull’assegnazione del bene. Pericolo scongiurato, ma la vecchia associazione che teneva tutti dentro si spaccò.
Giovanni ne fondò una sua: «Casa memoria Felicia e Peppino Impastato», dedicata anche alla madre. E adesso impegnata «oltre i confini della memoria», come recita il titolo del programma di manifestazioni che oggi vedranno la posa della prima pietra del percorso dei Cento passi, un itinerario lungo l’asse principale della cittadina, corso Umberto I, dove si affacciano sia la vecchia casa di Badalamenti sia quella dove abitava Peppino. «Lui nelle istituzioni ci credeva - dice Giovanni - tanto da candidarsi al consiglio comunale in quelle elezioni di cui non riuscì a vedere l’esito. E quindi basta rivendicazioni, basta divisioni: Peppino appartiene a tutti».

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