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Global warming
Maurizio Blondet
30/04/2007

Ci fu un tempo in cui l’umanità ridusse enormemente le emissioni di CO2, il colpevole dell’effetto-serra, e dunque del riscaldamento globale: fu nella grande Depressione del ‘29.
Nel 1928, il biossido di carbonio (CO2) prodotto dalle industrie nel mondo ammontò a 1,1 miliardi di tonnellate.
Nel 1929, salì ancora a 1,7 milioni.
Poi, il crollo di Wall Street, e la grande depressione cominciò.
Nel 1932, l’emissione di CO2 dovuta alle industrie umane era crollata a 0,88 miliardi di tonnellate.
Un calo del 30%.
Poi la curva ricominciò a salire, lentamente e in modo continuo, nel 1939 era a 0,90 miliardi di tonnellate.
La ripresa tuttavia fu lentissima.
Solo con la guerra e la ricostruzione del dopoguerra, verso il 1945-50, si tornò ai valori antecedenti al 1029.
Il 30% in meno di emissioni di CO2: è un calo enorme, molto maggiore di ciò che si possa sperare di raggiungere con le norme che gli ecologisti vorrebbero imporre al mondo, come i «crediti» sulle emissioni di carbonio (volute dalla convenzione di Kyoto: i Paesi che emettono troppo possono «comprare» crediti da Paesi che emettono poco).
Molto più di quello che vorrebbe l’ecologista politico Al Gore.
Molto più di quanto chiede, esige, l’ONU, o l’Inter-Governmental Panel on Climate Ch’ange.
Un calo del 30%.
Dietro questa percentuale c’è la tragica paralisi della produzione e dei commerci industriali, la spaventosa riduzione dei consumi in Europa e in America.
Ci sono le fabbriche chiuse, le decine di milioni di disoccupati, i tempi durissimi per la massima parte della popolazione del pianeta.
Il decennio (1929-39) del tirare la cinghia, il più duro per una generazione che non avrebbe visto la luce alla fine del tunnel, se non sotto forma della seconda guerra mondiale - l’altra tragedia immane, la grande consumatrice di prodotti industriali e di vite umane - nei cinque anni seguenti.
Ma almeno, il CO2 prodotto dall’uomo bruciando carbone e petrolio calò.
L’aria sarà stata più pulita.
I cieli più sereni.
Il mutamento climatico da effetto-serra (di cui sicuramente il CO2 è responsabile) sarà stato bloccato.
Invece no, non fu così.




La concentrazione di CO2 nell’atmosfera terrestre, espressa in parti per milione (ppm) non fece che salire.
Lentamente, di poco, ma inesorabilmente.
Nel 1928 era a 306 ppm.
Nel 1929, era 306.
Nel 1932, a 307.
E così via salendo, a piccolissimi ma inesorabili passi, fino al nostro oggi, dove siamo a 380 parti per milione.
Gli strumenti che controllano la concentrazione del gas-serra nell’aria a Mauna Loa (Hawaii) dal 1958, e i controlli sulle bolle d’aria intrappolate nei carotaggi estratti dai poli, mostrano sì variazioni, ma dovute alla natura: per esempio, tra l’estate e l’inverno la concentrazione può variare anche di 5 ppm, a causa del ciclo della fotosintesi delle foglie.
Ma la caduta verticale della produzione industriale dei primi anni ‘30 non ha causato nemmeno un calo di 1 ppm.
Immaginiamo di sovrapporre i due grafici relativi: quello delle emissioni industriali sale, scende a precipizio nel 1930/31, poi risale.
Quello della concentrazione di CO2 atmosferico sale lentamente ma senza mai scendere, e specialmente non scende quando scende l’altro.
A sovrapporre i due grafici è stato il professor Martin Hertzberg già nel 2001. (1)
Oggi Hertzberg è in pensione, ma è stato meteorologo per la US Navy; chimico e fisico laureato a Stanford, si è occupato per tutta la vita di combustioni esplosive, diventando il massimo esperto mondiale nell’accurata misurazione delle particelle sub-microscopiche nell’atmosfera (ha due brevetti in apparecchi di misurazione all’infrarosso).
Hertzberg non si è esposto come scettico della teoria sulla causa industriale del «global warming», ma ha tratto le semplici conclusioni dalla sovrapposizione dei due grafici.
Sì, la concentrazione di CO2 è cresciuta del 21% nel corso del secolo appena passato.
La temperatura terrestre è aumentata, anche se molto meno: mezzo grado centigrado tra il 1880 e il 1980, e da allora sale più rapidamente, più nelle regioni polari che altrove.
Ma, si domanda Hertzberg, è il CO2 a 380 ppm per milione a trattenere il 94% della radiazione solare assorbita nell’atmosfera?
Egli nota che il vapore acqueo è un assorbitore di calore altrettanto potente, e può essere presente nell’aria in percentuali fino al 2%, equivalenti a 20 mila parti per milione (ppm).
L’acqua, dunque?




L’acqua, onnipresente sulla Terra: oceani, nubi, ghiacci, nevi, vapore.
Una presenza enormemente più evidente del biossido di carbonio.
Eppure, i modelli elaborati dalla «scienza» del global warming non ne tengono conto.
L’attuale concentrazione di CO2 si ebbe anche nell’Eocene, 20 milioni anni prima della rivoluzione industriale: allora il biossido di carbonio salì a 300-400 ppm.
Che cosa causò, a quei tempi, l’effetto-serra?
Milutin Milankovitch, serbo, uno dei fondatori dell’astrofisica, studiò in ogni particolare, tra il 1915 e il 1940, tutte le possibili variabili all’opera nelle ere glaciali e post-glaciali.
Egli spiegò il ciclo dei riscaldamenti e raffreddamenti planetari con le variazioni dell’esposizione della Terra al Sole, dovute all’orbita ellittica, e alle variazioni di inclinazione (oscillazioni) dell’asse terrestre.
Egli ritenne che questa - la maggiore o minore irradiazione solare - fosse la causa primaria delle rilevanti variazioni di temperatura media tra glaciazioni e disgeli.
Hertzberg inclina alla stessa conclusione: oggi ci troviamo nella coda d’uscita dell’ultima era glaciale.
L’acqua copre oltre il 70% della superficie del pianeta.
E negli oceani, intrappolato in forma di carbonati, giace una quantità di CO2 almeno cento volte superiore a quello atmosferico.
Mentre avanza l’era post-glaciale gli oceani, riscaldati, emettono gas carbonico, proprio come una bibita gassata estratta dal frigorifero, che svapora mentre raggiunge la temperatura ambiente.
«E’ il riscaldamento degli oceani che provoca l’aumento del CO2 nell’atmosfera, non il contrario», sostiene perciò Hertzberg.
Difatti, recenti studi mostrano che negli scorsi milioni di anni l’aumento del CO2 nell’aria ha fatto seguito al riscaldamento climatico, con un ritardo fra gli 800 e i 2.600 anni.
Se Hertzberg ha ragione, allora tutte le misure invocate dall’ecologismo per ridurre le emissioni industriali non hanno senso alcuno.
In particolare, non ne ha il cervellotico meccanismo dei «crediti di emissione» pensato a Kyoto, questa compra-vendita di diritti di inquinare che vuole introdurre un incentivo di «mercato» alla decrescita produttiva.
Un’escogitazione ideologica - del liberismo - a soccorso dell’ideologia dell’ambientalismo malthusiano, che vede nella popolazione umana un «eccesso» e una malattia.




Il liberismo globale e l’ecologismo uniti a creare complessi di colpa a un’umanità che ha dimenticato il senso del peccato, ma non l’oscuro rimorso.
Il commercio dei «crediti d’emissione» equivale, dice Alexander Cockburn, alla «vendita delle indulgenze» del Papato di sei secoli fa: il peccatore poteva, con un esborso, comprarsi il purgatorio anziché l’inferno.
Lo stesso meccanismo di indulgenze viene offerto oggi dalla religione del liberismo ecologico, ma stavolta su basi ovviamente tecnocratiche.
Proprio vero quel che diceva Chesterton: l’uomo miscredente è quello che crede a qualunque cosa.
Invece, se Hertzberg ha ragione, a comprare «diritti» a man bassa dovrebbe essere Poseidon, il dio del mare.
Lui il vero colpevole.


Maurizio Blondet




Note
1) Alexander Cocburn,  «Is global warming a sin?»,  Counterpunch, 29 aprile 2007.



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