Senza titolo 1102

da quando  nel mio ops  nostro  blog  e nei altri dove sono invitato  e   lascio scrivere di religione  e  di  credere , ricevo molte  email  in cui mi si chiede  come faccio  a conciliare  il mio credere  con la mia  concezione politica  ovvero : << ma  se  sei anarchico \ libertario  -  comunista  come ...  fai a credere in ... di religione  ? >> .  Prima di rispondere    vorrei smentire un luogo comune   non è assolutamente  vero  che   essere  di  sinistra   sia  per  forza ateo  . poi perchè  è questa  è una  interpretazione  fatta mia   del pensiero di marx che  trovate qui (,,,,, )   è l’uomo che fa la religione, e non è la religione che fa l’uomo (...) .La religione è il sospiro della creatura oppressa, è l'anima di un mondo senza cuore, di un mondo che è lo spirito di una condizione senza spirito. Essa è l'oppio del popolo. Eliminare la religione in quanto illusoria felicità del popolo vuol dire esigere la felicità reale. L’esigenza di abbandonare le illusioni sulla sua condizione è l’esigenza di abbandonare una condizione che ha bisogno di illusioni. (...) La critica della religione approda alla teoria che l'uomo è per l'uomo l'essere supremo. In pratica  la religione  in se  oppio dei popoli ma  è il potere  non solo quello politico  ma  anche quello culturale   che  fanno (  e  hanno sempre fatto )  diventare  la religione  \ il credere  quello che dice  Marx  e   jacopo fo  nel " libro nero del  cristianesimo " qui la trama oppio  dei popoli o peggio culto di stato  . Reprimendo  ( torturando ,  scomunicando , bruciando libri ,  sospendendo a divinis   giudicando  eretici  , ecc  )  quella  che  religione  che  viene dal basso  cioè prende  alla lettera  le sacre scritture Adesso di voi  crederanno che sono ateo  ed invece no  sono  se proprio  non potete   fare  a meno di etichettarmi  un laico  credente  tiepido  o non  praticante  ( se non a natale e  a  pasqua  )  . qui  come  dice Corrado Guzzanti  : << guardo  in alto  è mi convinco che  Dio è laico come  me  (.....). Concludo con la  lettera  integrale  richiesta  all'autore  in cui in parte  è stata  pubblicata  dalla sezione  lettere a corrado augias  del quotidiano la repubbblica  il 18\1\2006







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Caro Augias,


sono un pastore valdese e le scrivo a proposito della lettera del sig. Gavazzi e della sua risposta. Ha ragione nel dire che sulle domande poste dal sig. Gavazzi, e dunque sulla questione della teodicea, "nessuno ha finora saputo trovare una risposta soddisfacente". Premetto perciò che la mia non intende essere quella risposta soddisfacente, che in questo mondo non c’è. Ma entrambi i vostri contributi si concludono con il richiamo all’angoscia e dunque vorrei intervenire per questo. Mi permetto di suggerire al sig. Gavazzi la lettura di un libro che affronta le tematiche da lui enunciate e denunciate. L’autore non è un teologo o un filosofo che si metta a ragionare in astratto sul problema della teodicea con l’unico intento di giustificare e riabilitare Dio. E’ un rabbino, Harold S. Kushner, che fa sulla sua pelle l’esperienza del giusto che soffre ingiustamente: il figlio gli muore a 14 anni per una malattia terribile che si chiama progeria e che porta il corpo di chi ne è affetto ad invecchiare e giungere alla morte precocissimamente. Alla morte del figlio il rabbino si rende conto che nessuna delle risposte tradizionali della fede gli è di conforto, incluse le risposte che lui aveva a suo tempo dato da rabbino sia dal pulpito che nei colloqui privati con credenti che si sentivano colpiti ingiustamente da lutti, malattie o catastrofi e chiedevano "perché Dio l’ha permesso?" Il libro, in traduzione italiana, si intitola appunto "ma cosa ho fatto per meritare questo?" (il titolo originale è invece "When bad things happen to good people"). Prendendo spunto dalla sua esperienza e rileggendo il libro biblico di Giobbe (per eccellenza nella Bibbia ebraica il giusto che soffre ingiustamente), Kushner riflette sulla questione della bontà, della giustizia e della onnipotenza di Dio (un po’ come Hans Jonas, da lei giustamente citato) arrivando a dire che nel caso di Giobbe, come in tutti i casi che richiamano la questione della teodicea (e dunque anche le questioni richiamate dal sig. Gavazzi e da lei stesso) diventa evidente che Dio non può essere tutte e tre le cose: buono, giusto e onnipotente. Se è onnipotente, bastano le questioni richiamate dal sig. Gavazzi per affermare che non è né buono né giusto. Se invece è buono e giusto dovremo allora rinunciare all’idea che sia onnipotente. E a questa rinuncia arriva Kushner. Non so se posso far mie fino in fondo le sue conclusioni sulla non onnipotenza di Dio; mi piace però che il suo libro non si concluda con un lamento angoscioso e angosciato. Alla domanda dov’è Dio nella nostra sofferenza e nelle ingiuste tragedie che colpiscono il nostro prossimo e il mondo, Kushner risponde che Dio è colui che ci da la forza di affrontarle e superarle, colui che ha dato la forza agli ebrei sopravvissuti agli orrori dei lager nazisti di ricostruirsi una vita e andare avanti, che ha dato a lui e a tante persone la forza di riprendersi da esperienze di lutto e dolore dalle quali non avrebbero mai pensato di poter uscire; Dio è colui che ispira tante persone a dedicarsi alla cura di coloro che sono colpiti dalle tragedie che la vita comporta, e il miracolo che talvolta Dio compie e di riportare la speranza in situazioni di cupa disperazione. Da pastore valdese sono stato per anni cappellano ospedaliero e ho fatto esperienza di tutto questo. Ho compreso che la domanda "perché Dio mi fa questo?", molto spesso, più che una domanda sulla teodicea è una richiesta d’aiuto e che la mia risposta non deve consistere nel tentativo di giustificare Dio, come fanno gli amici di Giobbe, ma nello stare accanto a chi soffre, accettandone e talvolta perfino condividendone le bestemmie. Mi è già capitato di vedere come persone gravemente e ingiustamente colpite da mali terribili che maledicevano Dio, come vedendo in lui l’origine dei propri mali, siano poi giunte a riconoscerlo non più e non tanto nella loro malattia, o nella mancanza di guarigione, quanto piuttosto nella presenza costante di coloro che le hanno accompagnate, aiutate e sostenute, con amore, pazienza, rispetto, senza alcuna forma di giudizio o pregiudizio. Non ho visto tante guarigioni miracolose, ho visto però quest’altro genere di miracoli: persone la cui unica preghiera poteva essere "Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?" (Salmo 22,1) che hanno concluso la propria esistenza dicendo "Anima mia, benedici il Signore" (Salmo 103,1). So bene che purtroppo in molti casi la vita si conclude comunque con quel grido terribile: "Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?", sono anche le ultime parole di Gesù sulla croce, ma da credente mi consola il fatto che la risposta di Dio a quella preghiera, per Gesù come per noi, esiste e si chiama resurrezione.


Sergio Manna   ser.manna@tin.it (pastore valdese)



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Spero  che questa  lettera  
metta fine una  volta  per  tutte  alle   accuse  di ateismo  che   ancora adesso mi giungono via  email


Commenti

Benedettaj ha detto…
Ma è roba da pazzi!

Come nascono certi pregiudizi è impensabile !


Dico grazie perchè io sono una di quelle invitate che scrive articoli cattolici su questo blog e devo dire che non ci sono mai stati problemi anzi....

E' ora di smetterla di pensare che il partito politico incida sulla religiosità di una persona...e concordo con il dire che Gesù non era un sacerdote ma un laico!

tanta serenità a tutti!

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